Staminali, la prima retina in provetta

Staminali, la prima retina in provetta

Staminali, la prima retina in provetta

Ha la stessa struttura tridimensionale e funziona come quella presente nell'occhio umano

E' stata ottenuta a partire da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) la prima retina prodotta in laboratorio strutturalmente e funzionalmente paragonabile a quella presente nell'occhio umano. A renderlo possibile è stato un sistema messo a punto da un gruppo di ricercatori guidato da Valeria Canto-Soler della Johns Hopkins University (Baltimora, Stati Uniti) e descritto sulle pagine di Nature Communications.

 

I ricercatori hanno convertito le iPSC – cellule adulte geneticamente riprogrammate per regredire ad uno stato staminale – nelle cellule della retina destinate a formare il tessuto sensibile alla luce che consente all'occhio di vedere. La crescita del tessuto è avvenuta con gli stessi tempi necessari per lo sviluppo della retina nel feto umano e ha portato alla formazione di strutture essenziali per il funzionamento dei fotorecettori che percepiscono la luce e la trasformano in segnali visivi. Non solo, i ricercatori hanno anche dimostrato che la retina ottenuta in laboratorio è formata in prevalenza dai cosiddetti bastoncelli, proprio come quella presente nell'occhio umano, e che dal punto di vista biochimico i fotorecettori ottenuti in laboratorio si comportano in modo simile a quelli della retina naturale. “In sostanza abbiamo creato in una piastra una retina umana in miniatura che non ha solo l'organizzazione strutturale della retina, ma che è anche capace di percepire la luce”, ha commentato Canto-Soler.

 

Secondo la ricercatrice questo sistema “potrebbe portare a tecnologie in grado di ripristinare la vista in persone con patologie della retina”, ma non è ancora in grado di ricreare tutte le funzioni dell'occhio umano e i suoi collegamenti con il cervello. “La nostra retina è capace di produrre un segnale visivo che il cervello può interpretare come un'immagine? – si chiede la ricercatrice – Probabilmente no, ma è un buon punto di partenza”. Per di più le sue possibili applicazioni sono più d'una, dall'ottenimento di tessuti con le caratteristiche tipiche di alcune patologie da utilizzare in studi che escludano l'uso di modelli animali a quello di materiale per testare farmaci specifici per un singolo paziente. Non è inoltre da escludere che sul lungo termine si riesca ad ottenere tessuti da utilizzare in trapianti mirati a ripristinare le capacità visive compromesse da malattie della retina.

 

Foto: © Kurhan - Fotolia.com

di Silvia Soligon (11/06/2014)

torna alla pagina precedente
torna su