Trasfusioni addio, speranza per beta talassemia
Cancellare la malattia dal Dna. Per chi convive con una delle forme più gravi di beta talassemia, significherebbe dire addio a una routine fatta di trasfusioni di sangue ogni 3 settimane e di terapia chelante tutti i giorn i per evitare sovraccarichi di ferro. Un sogno che sembra più vero guardando ai risultati di un nuovo studio di terapia genica presentato a Stoccolma durante il 23esimo Congresso dell’Associazione europea di ematologia-Eha. Il lavoro ha coinvolto centri di tutto il mondo sotto la guida dell’italiano Franco Locatelli, professore di Pediatria all’università di Pavia e direttore del Dipartimento oncoematologico, di terapia cellulare e genica dell’ospedale Bambino Gesù di Roma.
I dati illustrati al meeting scandinavo riguardano gli studi di fase clinica I/II Northstar (HGB-204) e di fase clinica III Northstar-2 (HGB-207) sulla terapia genica LentiGlobin* della società biotech americana Bluebird Bio: si tratta di un vettore lentivirale che trasporta una versione corretta del gene Hbb della beta-globina, uno dei componenti dell’emoglobina, mutato o assente nella beta talassemia. A bordo di questa navicella il gene terapeutico viene traghettato all’interno delle cellule staminali ematopoietiche prelevate dal paziente, che una volta modificate gli vengono reinfuse.
Locatelli evidenzia in particolare i risultati dello studio HGB-207 che definisce "il più importante condotto in Europa" sulla terapia genica della beta talassemia, alla quale stanno lavorando anche altri gruppi e aziende. "I dati sono straordinari", spiega all'AdnKronos Salute. "Dei pazienti trattati da almeno 6 mesi, 7 su 8 non hanno più bisogno di trasfusioni. Una potenziale rivoluzione che cambia la prospettiva di sopravvivenza di questi malati", per i quali oggi l'unica alternativa alle ripetute trasfusioni è il trapianto allogenico di staminali ematopoietiche. Strada rischiosa e non sempre percorribile.
Lo studio di fase III ha arruolato al momento 11 pazienti con beta talassemia trasfusione-dipendente e genotipo beta-positivo, che mantengono cioè una produzione residua di emoglobina, ma incompatibile con la vita. Il follow-up mediano è di 8,5 mesi (da 0,3 a 16,2) e "degli 8 pazienti che hanno superato i 6 mesi, 4 dei quali sono italiani - precisa Locatelli - 7 sono arrivati a produrre grazie alla terapia genica almeno 7,6 grammi di emoglobina per decilitro di sangue, che hanno portato l’emoglobina totale a circa 11-13 g/dL". Un livello che permette loro di vivere senza trasfusioni da un periodo compreso fra 4,7 e 15,1 mesi: oltre ue per chiedere il via libera alla cura.