Suicidio assistito, apertura Cnb ma il comitato si divide

Suicidio assistito, apertura Cnb ma il comitato si divide

Sanità Pubblica
Pronuncia Parlamento entro 24/9 o parola torna alla Consulta. Le differenze e le interpretazioni giuridiche. La storia e i casi
Con 13 voti favorevoli e 11 contrari, il Comitato nazionale di bioetica (Cnb) apre alla legalizzazione del suicidio medicalmente assistito in Italia, distinto dall'eutanasia, anche se le posizioni al suo interno evidenziano una spaccatura. La questione è al centro del parere pubblicato oggi dal Comitato e che, come sottolinea il presidente Cnb Lorenzo D'Avack, "intende fare chiarezza".    Il parere infatti, si legge nel documento, intende "fornire elementi di riflessione a servizio delle scelte di una società che intenda affrontare una questione, come quella dell'aiuto al suicidio, che presenta una serie di problemi e di interrogativi a cui non è semplice dare una risposta univoca".

Di qui l'esigenza di fare chiarezza, distinguendo il suicidio assistito dall'eutanasia e fornendo alcune raccomandazioni condivise. Ma il problema, si rileva, è che "nell'ordinamento italiano è assente una disciplina specifica delle due pratiche", ossia eutanasia e suicidio assistito, trattati entrambi come "aspetti delle figure generali dei delitti contro la vita". Il parare, sottolinea D'Avack, "vorrei che fosse un utile strumento, molto documentato, che possa aiutare il legislatore a prendere decisioni. Abbiamo voluto fare chiarezza ed esporre tutti gli argomenti, pro e contro". Proprio tale "equipollenza" delle posizioni è però criticata da Francesco D'Agostino, membro del Cnb che ha votato contro il suicidio assistito e secondo il quale il Comitato "non è un'Accademia ed il suo compito è dare un orientamento chiaro e non, al contrario, lasciare chi legge in una situazione ambivalente che produce smarrimento".

Giusto invece aprire alla legalizzazione secondo il farmacologo e componente del Cnb Silvio Garattini, che auspica, pur "non nutrendo molta fiducia in merito", che il Parlamento si occupi della questione "prendendo la giusta decisione".  E proprio il Parlamento sarebbe infatti chiamato a pronunciarsi sul suicidio assistito entro la scadenza del 24 settembre, indicata di fatto dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza 207/2018 in riferimento al caso di aiuto al suicidio per Fabiano Antoniani Dj Fabo da parte di Marco Cappato dell'Associazione Coscioni. Una scadenza di fondamentale importanza, come chiarisce all'ANSA l'avvocato e segretario dell'associazione, Filomena Gallo: "Il 24 settembre è la data fissata per la nuova udienza della Consulta sul caso Cappato. In assenza, per quella data, di una legge del Parlamento in materia di suicidio assistito e fine vita, la Corte potrebbe dunque decidere di intervenire in linea con l'ordinanza già emanata ed in cui è già evidenziata l'incostituzionalità dell'articolo 580 del Codice penale nella parte in cui prevede e classifica come 'reato' anche il solo aiuto al suicidio".

Insomma, commenta, "tra due mesi ci troveremo nella situazione in cui saranno di nuovo i giudici a decidere sui temi che riguardano la vita delle persone". Dunque, afferma anche Cappato, "onore al Cnb, che ha avuto il coraggio di decidere sul fine vita, dando così una lezione al Parlamento, che non è stato capace in sei anni di discutere la legge di iniziativa popolare e, in un anno, di rispondere alla richiesta di legiferare della Corte".  Il parere del Cnb ha comunque riacceso il dibattito suscitando la reazione del fronte cattolico: "l'idea di legalizzare il suicidio assistito sarebbe devastante per il nostro sistema sanitario", afferma il giurista e presidente di Scienza & Vita Alberto Gambino. E parla di un documento "deludente, metodologicamente incomprensibile, in cui ognuno potrà trovare la posizione che più gli aggrada", il bioeticista dell'Università Cattolica Adriano Pessina, che ritiene invece "esistano buone ragioni etiche e giuridiche per negare che esista un diritto al suicidio assistito: sia perché non esiste alcun diritto alla morte, sia perché il diritto costituzionalmente rilevante della tutela della vita prevale sul diritto ad esercitare la propria autonomia". Di segno opposto la posizione del presidente della Consulta di Bioetica, Maurizio Mori, che guarda con favore al parere del Cnb definendolo "un segno di cambiamento profondo".

Eutanasia, rifiuto dei trattamenti, suicidio assistito, aspetti presi in considerazione dal dibattito politico ed etico e che sono rientrati anche nelle considerazioni del Comitato nazionale di Bioetica. Ecco cosa sono:

* EUTANASIA (anche detta eutanasia attiva) - E' l'infusione di un farmaco che interrompe, in maniera rapida e indolore, la vita del malato che lo richiede. A compiere il gesto di somministrare la sostanza letale e' una persona terza, un sanitario che la infonde endovena a chi ritiene di patire sofferenze eccessive a livello fisico o esistenziale. Questa e' l'unica forma di eutanasia che esiste in senso proprio, e per la quale si sta discutendo una legge di iniziativa popolare in Parlamento, sollecitata dalla Corte Costituzionale.

  * INTERRUZIONE DEI TRATTAMENTI - E' un termine a volte indicato in modo improprio come eutanasia passiva, ma non ha nulla a che vedere con l'eutanasia. Si riferisce invece al diritto, costituzionalmente previsto, del rifiuto di trattamenti che possono essere anche salvavita: questo principio e' alla base della legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). Ad esempio, il distacco del ventilatore meccanico per Piergiorgio Welby e Walter Piludu, o della nutrizione e idratazione nel caso di Eluana Englaro (la cui volonta' e' stata ricostruita quando lei non era piu' capace di intendere e volere). 

* SUICIDIO ASSISTITO - Consiste nell'aiutare un soggetto che chiede di porre fine alla propria vita, ma in cui e' lui stesso ad assumere un farmaco letale. Questa possibilita' e' prevista in Svizzera, dove si e' recato Dj Fabo, aiutato da Marco Cappato. Fabiano Antoniani, pur essendo tetraplegico, ha potuto attivare una pompa infusionale schiacciando con i denti un pulsante. In questo caso l'aiuto e' consistito nel predisporre il meccanismo che ha permesso di assumere la sostanza. Ma il gesto finale e' rimasto suo.

La storia

Poter decidere quando terminare la propria vita e interrompere così la propria sofferenza. E' la richiesta che in 12 anni, come un filo rosso, ha legato tanti volti che sono diventati veri e propri emblemi, da Piergiorgio Welby all'ultimo in ordine cronologico, quello del DJ Fabo. Una volontà di porre fine "con dignità" alla propria vita devastata dalla malattia - rifiutando con disposizione anticipata i trattamenti medici - che, grazie all'approvazione della legge sul Biotestamento avvenuta nel dicembre del 2017, può essere accolta in modo certo nel quadro, appunto, di una norma dello Stato. Prima della legge, invece, l'ultima parola è sempre spettata ai giudici ed ai tribunali. Resta però aperta la questione del suicidio assistito - distinto dall'eutanasia e dal Biotestamento - su cui oggi si è pronunciato il Comitato nazionale di bioetica, con un parere volto a "fare chiarezza".

    Il primo a porre il tema dell'autodeterminazione del malato e della scelta sul fine-vita fu PIERGIORGIO WELBY, attivista e co-presidente dell'Associazione Coscioni. Colpito da anni dalla distrofia muscolare inviò al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una lettera in cui chiedeva l'eutanasia. Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma respinse la richiesta dei legali di Welby di porre fine all'"accanimento terapeutico", dichiarandola "inammissibile" a causa del vuoto legislativo su questa materia. Pochi giorni dopo, Welby chiese al medico Mario Riccio di porre fine al suo calvario. Riccio staccò dunque il respiratore a Welby sotto sedazione, venendo poi assolto dall'accusa di omicidio del consenziente.

Nel 2007 fu poi il caso di GIOVANNI NUVOLI, malato di Sla di Alghero, che chiedeva anch'egli il distacco del respiratore: questa volta, pero', il tribunale di Sassari respinse la richiesta ed i carabinieri bloccarono il medico che voleva aiutarlo. Nuvoli iniziò allora uno sciopero della fame e della sete lasciandosi morire. Ma è nel 2009 con il caso di ELUANA ENGLARO, la giovane di Lecco rimasta in stato vegetativo per 17 anni, che il Paese si è diviso tra i favorevoli alla volontà del padre Beppino di far rispettare il desiderio della figlia quando era ancora in vita di porre fine alla sua esistenza se si fosse trovata in simili condizioni, ed i contrari. Varie le sentenze di rigetto delle richieste dei familiari, finchè la Cassazione, per ben due volte, non si è pronunciata a favore della sospensione della nutrizione e idratazione artificiale.

Anche MARIO FANELLI, malato di Sla morto per cause naturali nel 2016, chiedeva una legge sull'eutanasia. E sempre nel 2016, WALTER PILUDU, ex presidente della provincia di Cagliari malato di Sla, è morto ottenendo il distacco del respiratore: il tribunale di Cagliari ha infatti autorizzato la struttura sanitaria dove si trovava a cessare i trattamenti. Nel 2017 esplode il caso di Dj Fabo, morto in Svizzera nella struttura dove si è recato accompagnato da Marco Cappato dell'Associazione Luca Coscioni per ottenere il suicidio assistito. Dj FABO (FABIANO ANTONIANI) si era rivolto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinchè intervenisse sul fine vita.

A 39 anni, cieco e tetraplegico a seguito di un grave incidente stradale, chiedeva di "essere libero di morire" e giudicava "scandaloso che i parlamentari non abbiano il coraggio di prendere la situazione in mano per tanti cittadini che vivono come me". Patrizia Cocco, invece, ha combattuto per 5 anni la sua battaglia contro la Sla, poi ha scelto di dire basta. Nuorese di 49 anni, è stata la prima in Italia ad ottenere di 'staccare la spina' dopo l'entrata in vigore della legge sul Biotestamento. Lo ha fatto dopo aver dato il suo assenso ai medici per la rinuncia alla ventilazione meccanica e per l'inizio della sedazione palliativa profonda.

    Fonte: Dottnet
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