Payback sanitario: ma di cosa si tratta? di LUIGI PARENTI

Payback sanitario: ma di cosa si tratta? di LUIGI PARENTI

Abstract
Il presente articolo – senza alcuna pretesa di completezza - è volto ad esaminare le principali novità normative in materia del c.d. “payback” con riferimento alla realizzazione e fornitura di dispositivi medici.

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Come è noto, il meccanismo del c.d. “payback” in merito alla realizzazione e/o fornitura di dispositivi medici è un meccanismo imposto dal legislatore consistente nella restituzione – da parte delle aziende del comparto sanità – dell’importo pari al 50% delle spese in eccesso effettuate dalle singole Regioni.

Infatti, la fornitura di dispositivi medici avviene a seguito dei provvedimenti di aggiudicazione di gare pubbliche a cui possono partecipare le varie aziende che si occupano di fornire tali dispositivi.

L’art. 9 ter, comma 9, del D.L n. 78/2015, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015 n. 125, in un’ottica di razionalizzazione della spesa pubblica, ha imposto alle suddette aziende fornitrici di dispositivi medici di concorrere al ripianamento dell’eventuale superamento del tetto di spesa regionale per gli acquisti di dispositivi medici inter alia per gli anni 2015, 2016, 2017, 2018.

Inoltre, con D.M. del 06.07.2022, pubblicato in G.U. il 15.09.2022, il Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha certificato e quantificato il superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici a livello nazionale e regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018.

Con il successivo art. 18, comma 1, del D.L. n. 115/2022 (c.d. Decreto “Aiuti bis”), convertito con modificazioni dalla L. n. 142/2022, è stato inserito il comma 9-bis all’art. 9-ter del D.L. n. 78/2015, che prevede “9-bis. In deroga alle disposizioni di cui all'ultimo periodo del comma 9 e limitatamente al ripiano dell'eventuale superamento del tetto di spesa regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 dichiarato con il decreto del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze di cui al comma 8, le regioni e le province autonome definiscono con proprio provvedimento, da adottare entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del predetto decreto ministeriale, l'elenco delle aziende fornitrici soggette al ripiano per ciascun anno, previa verifica della documentazione contabile anche per il tramite degli enti del servizio sanitario regionale […].

La somma dovuta in caso di superamento del tetto di spesa regionale dovrà essere calcolata con riferimento ai dati di costo rilevati a consuntivo per ciascuno dei predetti anni e risultanti dal modello CE consolidato regionale nella voce “BA0210 - Dispositivi medici” del modello di rilevazione del conto economico.

Pertanto, le singole Regioni hanno già emesso singoli provvedimenti nei confronti delle Società fornitrici al fine di ottenere la restituzione degli importi con il suddetto meccanismo di “payback”.

Tuttavia, la normativa richiamata ha esposto le società ad un rilevante pregiudizio economico dato che mette a serio rischio le piccole e medie imprese fornitrici di dispositivi medici nonché i lavori alle proprie dipendenze.

Infatti, secondo i dati della “FIFO” (Federazione Italiana Fornitori Ospedalieri), solo per il quinquennio 2015-2020 le aziende dovrebbero restituire in media somme pari a metà del proprio fatturato annuo (circa 3,6 miliardi di euro), con ingenti difficoltà fiscali, trattandosi di bilanci già depositati, e con modalità vessatorie che prevedono anche la compensazione dei crediti vantati dalle imprese fornitrici nei confronti delle aziende sanitarie.

Tali provvedimenti del legislatore, dunque, sembrano essere in contrasto con una serie di principi costituzionali ed europei.

In particolare, le disposizioni in esame sembrano in contrasto:

con l’art. 3 Cost., che impone il rispetto del principio di uguaglianza e con l’obbligo in capo alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese;
con il principio di proporzionalità di stretta derivazione europea, ossia con l’obbligo in capo alle amministrazioni di adottare il provvedimento con il minor sacrificio possibile nei confronti dei soggetti privati;
e con l’art. 97 cost, il quale dispone che le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico e i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
La stessa Corte costituzionale ha stabilito che le aziende sono tenute a compartecipare alla spesa in modo ragionevole e proporzionato stabilendo che: “il giudizio di ragionevolezza […] si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti” (Corte cost. 22 dicembre 1988, n. 1129).

A ben vedere, infatti, la disciplina vigente risulta violativa dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza dato che:

il tetto stesso di spese risulta totalmente imprevedibile e non determinabile dalle aziende;
impone alle aziende l’obbligo di restituire parte del fatturato senza consentire alle stesse di poter partecipare e controllare in alcun modo l’incidenza delle loro vendite sulla spesa pubblica.
La spesa effettiva, insomma, dipende dal fabbisogno autodeterminato e dalle scelte delle Regioni e degli enti del SSN che ad esse fanno capo.

Inoltri, i provvedimenti richiamati sembrano altresì ledere principi di cui agli artt. 41 e 42 della Costituzione, ossia quelli inerenti alla libertà di iniziativa economica e di pianificazione imprenditoriale delle aziende de quibus e di tutela della proprietà privata.

Appare dunque illegittimo il sistema così delineato dal legislatore il quale impone alle aziende di ripianare il 40%, 45% e 50% del superamento del tetto di spesa pubblica dato che la maggior parte delle Regioni non sono riuscite a rientrare entro detto limite di spesa confermando, così, una cattiva gestione delle risorse in mano pubblica.

Allo stato attuale, data la rilevante proposizione di ricorsi avverso i Decreti Ministeriali sopra richiamati, nonché avverso i provvedimenti emessi dalle Regioni volti ad ottenere la restituzione dei relativi importi alle Aziende, il legislatore si è “limitato” a prorogare l’adempimento dell’obbligo di restituzione dei relativi importi a titolo di payback al 30 aprile 2023, in luogo del 31 gennaio 2023.

In definitiva, quindi, non si può accogliere favorevolmente la sopraindicata riforma legislativa e l’augurio – in prospettiva de iure condendo – non può essere che quello di un nuovo intervento del legislatore volto ad annullare o, quantomeno, modificare l’istituto e/o le modalità di applicazione del payback.


Autore dell'articolo:
LUIGI PARENTI | Cavaliere, Professore e Avvocato titolare dello Studio Legale Parenti
Avvocato abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori e titolare dello Studio Legale Parenti, il quale è un punto di riferimento per contenziosi legali nella capitale ed in tutta Italia che si distingue per la capacità di fornire assistenza legale in tutte le branche del diritto, offrendo consulenza a Clienti privati e aziende. Inoltre, lo studio è un riferimento in Italia autorizzato e certificato Italian Certified Consultant dalla Camera di Commercio italiana negli Emirati Arabi Uniti.
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