L'angolo della lettura
10/12/2025 - Scopes Monkey Trial: il “processo della scimmia” che cambiò il pensiero degli uomini
Tutto ebbe inizio il 4 maggio 1925, quando l’ACLU – American Civil Liberties Union, la più autorevole organizzazione statunitense impegnata nella tutela dei diritti civili, fondata nel 1920 – pubblicò sul quotidiano locale Chattanooga Daily Times di Dayton, Tennessee, un annuncio destinato a segnare una frattura epocale nella storia culturale del Paese. Cercava un insegnante disposto a sfidare, davanti a un tribunale, la Butler Act, legge statale approvata il 28 gennaio 1925, che proibiva l’insegnamento della teoria evoluzionista nelle scuole pubbliche.
Per
incoraggiare le candidature, l’ACLU garantiva il patrocinio gratuito di
avvocati di prim’ordine e assicurava che il posto di lavoro dell’insegnante non
sarebbe stato messo a rischio.
La
Butler Act, fortemente voluta dall’agricoltore e deputato John Washington
Butler, cristiano fondamentalista, considerava illegale per qualunque docente
insegnare teorie che negassero la Creazione così come descritta letteralmente
nella Bibbia, sostenendo invece che l’uomo discendesse da animali inferiori. In
un sol colpo veniva rigettata tutta la moderna teoria evoluzionista, nonostante
Charles Darwin – morto nel 1882 – fosse già celebrato come uno dei più grandi
scienziati dell’epoca e avesse ricevuto funerali di Stato con sepoltura
nell’abbazia di Westminster, accanto a Isaac Newton.
La
legge rimase in vigore fino al 1967, quando venne finalmente abrogata.
L’ACLU,
con un atto volutamente provocatorio, mirava a innescare un dibattito nazionale
sulla libertà di insegnamento. Era convinta che la Butler Act non avrebbe retto
all’urto dell’opinione pubblica né al vaglio costituzionale. La battaglia
giudiziaria, prevista come inevitabile, fu dunque parte integrante della
strategia.
L’uomo
al centro del processo
A
rispondere all’annuncio fu John Scopes, giovane insegnante supplente di
biologia. Con la sua disponibilità, Dayton divenne, quasi da un giorno
all’altro, epicentro del conflitto tra scienza e fondamentalismo religioso, tra
spirito critico e dogma, tra modernità e tradizione.
Il
caso infiammò immediatamente l’attenzione mediatica nazionale: giornalisti e
troupe radiofoniche affollarono la cittadina, allora di appena diecimila
abitanti, trasformando il Tennessee – The Volunteer State, patria del rock ’n’
roll e del celebre whiskey Jack Daniel’s – in un palcoscenico osservato
dall’intero Paese.
Il
processo acquisì ulteriore fama grazie al profilo dei protagonisti: la difesa
era affidata a Clarence Darrow, celebre avvocato e paladino dei diritti dei
lavoratori; l’accusa, invece, a William Jennings Bryan, gigante del pensiero
religioso, oratore formidabile, fervente proibizionista e già tre volte
candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti.
Il
“processo della scimmia” fu anche uno dei primi dibattimenti trasmessi in radio
negli Stati Uniti, ispirando perfino brani folk come You Can’t Make a Monkey
Out of Me e Monkey Business Down in Tennessee.
L’aula
all’aperto, il caldo soffocante, la ritualità del confronto
L’estate
del 1925 fu di un caldo implacabile. Le temperature torride costrinsero il
tribunale, per ragioni di sicurezza e per l’enorme affluenza di pubblico, a
trasferire gran parte dei dibattimenti all’aperto, preceduti – come da
tradizione – da una preghiera.
I
cronisti dell’epoca descrivono Bryan «in maniche di camicia e bretelle, intento
a rinfrescarsi con un ventaglio di foglie di palma», mentre Darrow, «pure in
maniche di camicia, ostentava un paio di bretelle viola». Anche i dettagli più
marginali contribuirono al mito.
La
svolta strategica di Darrow
La
difesa comprese ben presto che l’argomentazione sull’incostituzionalità della
legge rischiava di naufragare. Darrow mutò allora radicalmente strategia: volle
dimostrare che la Bibbia e la teoria evoluzionista non erano necessariamente
inconciliabili, e chiamò a testimoniare eminenti scienziati credenti. Il
giudice, però, ne ammise uno soltanto: per la corte, non si trattava di
stabilire la veridicità scientifica dell’evoluzione, ma se essa fosse vietata
dalla legge.
Bryan, forte della sua oratoria, sostenne perfino che «la troppa conoscenza è pericolosa» e insinuò il dubbio che l’uomo non fosse propriamente un mammifero.
A
quel punto Darrow, consapevole di essere su un terreno scivoloso, giocò la sua
carta più audace: chiese che fosse lo stesso Bryan, esperto della Bibbia, a
salire sul banco dei testimoni. L’accusatore accettò, senza sospettare di
cadere in una trappola memorabile.
Il
controesame di Darrow entrò nella storia della giurisprudenza americana: una
demolizione metodica e serrata di una visione del mondo irrigidita dal dogma.
Il
dialogo che cambiò la percezione dell’America
Tra
le domande incalzanti:
«Lei
crede che la Bibbia sia letteralmente vera in ogni parola?»
«Crede
davvero che Giona sia stato inghiottito da una balena e sia sopravvissuto tre
giorni
«E
che il sole si sia fermato per permettere a Giosuè di vincere una battaglia?»
Bryan
rispose sempre: «Sì».
Fu
allora che il pubblico divenne il vero giudice del processo. Darrow sapeva che
la condanna era quasi certa, ma puntava alla più grande delle vittorie: quella
dell’opinione pubblica. E l’ottenne.
La
condanna che si trasformò in disfatta culturale
John
Scopes fu condannato – senza mai essere incarcerato – a una multa di 100
dollari (circa duemila odierni). Tuttavia, quella che sul piano giuridico fu
una sconfitta si tramutò rapidamente in un clamoroso boomerang per l’accusa: la
stampa nazionale ridicolizzò le posizioni di Bryan, l’opinione pubblica si
schierò in massa con la scienza, e la corte suprema del Tennessee annullò la
condanna l’anno dopo per un cavillo tecnico.
Il
“processo della scimmia” aveva ormai innescato un moto culturale inarrestabile:
crollavano dogmi, si incrinavano pregiudizi, si apriva la strada a una
rinnovata libertà di pensiero.
L’eredità
del processo
Nel
1973, dopo l’abrogazione della Butler Act, il Senato del Tennessee approvò il
Genesis Bill, che riconosceva pari dignità all’insegnamento dell’evoluzione e
del creazionismo, raccomandando che la prima non fosse presentata come “fatto
scientifico”.
Secondo
i più recenti dati del Pew Research Center, circa l’80% degli americani accetta
oggi la teoria dell’evoluzione, mentre il 17% continua a credere che l’essere
umano esista nella sua forma attuale “fin dagli inizi del tempo”.
Bryan
uscì profondamente provato dal processo, al punto da non pronunciare neppure
l’arringa finale, che consegnò alla stampa con una riflessione destinata a
rimanere celebre: «La scienza è una forza magnifica, ma non è un’insegnante di
morale... può perfezionare le macchine, ma non aggiunge vincoli morali per
proteggerci dal loro uso improprio». Morì cinque giorni dopo la conclusione del
dibattimento. Scopes, invece, non tornò più all’insegnamento e trovò lavoro
nell’industria petrolifera.