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Storia delle scienze

Storia della Medicina

(Gentilmente tratto dal sito Cyberned)
Se per medicina si intende qualsiasi atto o procedimento finalizzato all'allontanamento di un agente patogeno, di un sintomo morboso, di un qualsivoglia elemento che turbi lo stato di salute, allora si può certamente dire che l'origine di questa scienza coincida con l'origine stessa dell'uomo e che sia strettamente legata a risvolti di carattere religioso, filosofico, paleontologico ed etnologico.
Inoltre è molto difficile fare un'adeguata ricostruzione scientifica dei primi atti curativi in età preistorica, poiché i reperti di medicina vera e propria a nostra disposizione non sono sufficienti (si tratta solamente di crani trapanati e ossa con fratture consolidate risalenti a non prima di 100.000 anni fa). In realtà si possono solo fare semplici supposizioni basate sull'osservazione di graffiti, pitture murali o di sculture. Potrebbe venire spontaneo il paragone nel campo medico tra l'uomo della preistoria e le moderne popolazioni selvagge (ad esempio i pigmei africani), ma non bisogna dimenticare che anche il popolo più primitivo di oggi ha già subito millenni di evoluzione.
Durante il corso dei secoli la medicina ha attraversato diversi stadi che, secondo gli storici, sono i seguenti: medicina istintiva, medicina sacerdotale, medicina magica, medicina empirica, medicina scientifica.
Per medicina istintiva si intende quella serie di accorgimenti ed azioni proprie della natura degli animali superiori ed insite nel loro comportamento, quali ad esempio il leccamento della ferita, la posizione antalgica di un arto dopo un trauma, l'eliminazione dei parassiti dal corpo, il disbrigo delle occorrenze del parto.
La medicina sacerdotale nacque quando l'uomo primitivo, davanti alla potenza e all'imponenza dei fenomeni naturali che trascendono ogni possibilità umana, ebbe la sensazione della presenza di uno o più esseri superiori responsabili di qualsiasi manifestazione della natura, anche di quelle relative alle patologie da cui veniva colpito. Le uniche vie di guarigione risultavano quindi essere la preghiera, l'implorazione e il sacrificio.
Solo in un secondo tempo, con la corruzione del puro sentimento religioso, si ebbe la concezione magica della medicina, in base alla quale l'uomo credette di poter intervenire sui fenomeni e addirittura di poterli comandare, sostituendosi così alla divinità: fin dalle più antiche testimonianze documentali di epoca storica in nostro possesso si evince il fatto che la figura dello stregone o del mago è opposta ed in contrasto con quella del sacerdote. Ciò significa che nel concetto di medicina magica è inclusa una ben definita connotazione di empietà: chi si occupa di fatture e sortilegi avvalendosi delle forze occulte viene temuto come un essere malefico e diabolico.
Non si può però non rilevare nell'operato di maghi e stregoni un primo abbozzo di scienza in quanto essi seguivano principi sempre uguali che, pur basandosi su correlazioni completamente sbagliate tra causa ed effetto, costituivano comunque un ragionamento guidato da un'apparente logica. Se quindi per scienza si definisce lo studio dei fenomeni naturali al fine di stabilirne le leggi e di poterli riprodurre applicando le leggi stesse, allora bisogna riconoscere che la magia tende allo stesso scopo pur partendo da presupposti errati e utilizzando mezzi inadeguati.
Quando poi l'uomo, ampliando le sue conoscenze ed approfondendo gli studi su di esse, si rese conto di non potere più sostituire la divinità pur comprendendo la natura dei fenomeni intorno a lui, iniziò una prima discriminazione tra magia e scienza. 
Anche nella medicina empirica possiamo vedere una forma embrionale di scienza: è vero che non si preoccupa di risalire al perché dei fatti osservati, ma è pur sempre la prima constatazione tra una causa ed un effetto che permette la formulazione di successive ipotesi, quindi il punto di partenza del ragionamento scientifico.
I popoli primitivi attualmente viventi uniscono l'interpretazione soprannaturale a un empirismo spesso assai progredito. Tutte quelle patologie che sono causate da agenti ben definibili (traumi, morsi di animali, parassitosi ecc.) sono trattate con rimedi naturali dettati da una ricerca empirica, mentre quelle la cui causa non è evidente (qualsiasi patologia interna) sono attribuite all' influenza di divinità, maghi o stregoni. In ogni caso è sempre l'elemento magico ad avere il sopravvento nella diagnosi e nella cura che sono esclusiva competenza dei guaritori.
L'eziologia di qualsiasi patologia è spesso associata a un peccato commesso, anche involontariamente, dal paziente contro divinità, stregoni, individui o oggetti dichiarati tabù (re, guerrieri, persone in lutto, donne mestruate, puerpere, chiunque abbia a che fare con cadaveri, alcuni animali) con i quali è proibito ogni contatto. Lo stregone ha poi la facoltà di causare la malattia in moltissimi modi se ha a disposizione parti del corpo della vittima (unghie, capelli), oggetti o avanzi di cibo; in mancanza di ciò può ricorrere ad altri procedimenti come l'infissione di chiodi o spilli in feticci. Anche i demoni e le anime dei morti sono ritenuti in grado di provocare malattie.
Per difendersi dalle malattie si fa ricorso ad abluzioni, all'uso di amuleti, alla somministrazione di erbe medicamentose oppure anche a cerimonie e riti collettivi a cui partecipa tutto il villaggio con a capo lo stregone: talvolta si cerca di scacciare il demone responsabile della malattia spaventandolo, talvolta allettandolo, altre volte ancora si ricorre al sacrificio o all'allontanamento di un capro espiatorio.
E' un miscuglio di medicina primitiva, empirismo, magia e religione. Riconosce a determinate persone, quasi sempre donne (le streghe), la capacità di fare il male e di toglierlo. Per provocare le più svariate patologie si ricorre alle fatture che possono essere eseguite indirettamente (operando un transfert della vittima designata su figure, statuette o oggetti che la rappresentano) oppure direttamente gettandole addosso o facendole ingoiare, senza che se ne accorga, sostanze di vario genere di solito di carattere macabro e ripugnante (ossa umane polverizzate, sperma, sangue mestruale). Spesso si usano anche spilli, nodi e altri oggetti che vengono posti nel letto e nei vestiti. Le malattie possono infine essere causate anche dalla semplice invidia e dal malocchio, un fluido che viene emanato talvolta inconsapevolmente dagli occhi delle persone che lo posseggono. C'è poi la magia del bene sia per le malattie provenienti da fattura, sia per le affezioni più comuni: nel primo caso se ne occupano le streghe, nel secondo invece persone dotate di particolari virtù (settimini, appartenenti a certe famiglie ecc.) mediante toccamenti ed enunciazione di determinate formule e preghiere. 
Da non dimenticare infine il ricorso alla sfera religiosa che talvolta, nonostante il divieto della Chiesa, sconfina in un senso di magismo e superstizione quando arriva a far ingoiare polvere di intonaco di alcune cappelle o immagini di santi.
E' sicuramente il migliore esempio del concetto assolutamente teurgico della medicina: Dio è l'unica fonte di malattia e di risanamento, per cui solo il sacerdote, cioè l'uomo scelto dal Signore, è considerato strumento di guarigione. E' pur vero che il medico viene tenuto in grande considerazione, ma alla base di tutto sta il fatto che è la divinità ad aver creato le piante e tutti i medicamenti (fiele di pesce, il cuore, il fegato ecc.). Il concetto igienico risulta quindi molto marginale rispetto al precetto religioso.

La medicina assiro babilonese (1792 a.C.-323 a.C.)

Rappresenta il punto di passaggio tra il concetto teurgico e quello magico: la parte religiosa sta essenzialmente nell'eziologia in quanto l'ira di una divinità verso una persona permette ai demoni maligni di aggredirla causando in tal modo la malattia (c'è un demone per ogni patologia); il concetto magico ha invece risalto nella parte terapeutica, nell'attuazione cioè degli esorcismi. Nella fase diagnostica le due concezioni vanno di pari passo e un ruolo preponderante è giocato dall'ispezione del fegato, ritenuto l'organo più importante in quanto fonte di sangue. Bisogna poi ricordare la parte dedicata alla chirurgia compresa nel Codice di Hammurabi: vi è una vera e propria serie di norme deontologiche in cui sono riportati compensi e pene per chi esercita questa attività.

La medicina egiziana (3000 a.C.-1000 a.C.)

Si passa da una fase teurgica-magica ad un empirismo estremamente illuminato: notevoli sono la concezione biologica (concetto umorale sanguigno e concetto pneumatico), la conoscenza dei vari quadri sintomatologici e la farmacologia. Gli elementi che costituiscono la sapienza medico empirica vengono trattati solo in libri sacri accessibili unicamente agli iniziati. Nonostante quello che si potrebbe ipotizzare alla luce delle pratiche di imbalsamazione in cui gli egiziani erano maestri, l'anatomia non appare particolarmente progredita. Al contrario risultano molto precise le indicazioni relative alla terapia (nel solo papiro di Ebers sono menzionati 500 diversi medicamenti) ed alle sue varie forme di confezionamento e di somministrazione: polveri, tisane, decotti, macerazioni, pastiglie erano perfettamente conosciuti. Assai progredita era inoltre la chirurgia e la sutura delle ferite.
Da notare infine la presenza di medici specialisti nelle malattie urinarie, nelle patologie delle orecchie, degli occhi e della pelle.

La medicina mesopotamica (3000 a.C.-2000a.C.)

E' un tipo di medicina magico-teurgica dotata di un certo grado di empirismo interpretato però sempre in senso mistico ed occulto. La malattia è sinonimo ed effetto di impurità per cui le cure consistono in lavacri e abluzioni, oltre che in sacrifici espiatori. Nonostante ciò vi sono accenni riguardo al medico che cura con le piante (Aura Mazda, la divinità del bene, ha creato almeno una pianta per guarire ogni malattia) e a quello che cura con il "ferro".

La medicina indiana (2500 a.C.-1500 a.C.)

Ancora oggi vi sono scuole che studiano l'antica medicina indiana nella sua forma originale, così come viene trattata negli antichi testi sacri (i Veda): la loro completezza ed organicità ha fatto sopravvivere questa concezione fino ai giorni nostri. Trattano molto accuratamente di grande e piccola chirurgia, della cura delle malattie del corpo, di demonologia (è presente una certa sfumatura di magia e religiosità), della cura delle malattie infantili, della tossicologia, della preparazione di elisir e di afrodisiaci.
Notevoli la perfezione e la varietà dello strumentario chirurgico, le tecniche di medicazione, l'attenzione negli esami diagnostici e la particolare abilità negli interventi di litotomia e rinoplastica.

La medicina cinese

I testi più antichi risalgono al 3500 a.C. e, come nella medicina indiana, vengono ancora consultati e tenuti in considerazione. La malattia e la salute sono determinate dall'armonia o meno dei due principi fondamentali: lo Yang (il principio maschile) e lo Yin (quello femminile). I medici cinesi introdussero per primi la rilevazione del polso: ne conoscevano 200 tipi differenti tra cui 21 erano considerati indice di esito letale; la farmacologia è senza dubbio la più avanzata tra tutte le medicine antiche, comprende oltre 2000 farmaci e ne include molti ufficialmente usati nella moderna terapia occidentale (ferro contro l'anemia, l'oppio, il solfato di sodio come purgante ecc.). Da ricordare inoltre il primo tentativo di immunizzazione attiva contro il vaiolo insufflando polvere di croste disseccate nelle narici dei pazienti. Anche la chirurgia era praticata a un buon livello: caratteristici gli interventi di castrazione e quelli per limitare gli effetti della deformazione dei piedi.
Non si può tralasciare infine un accenno riguardo l'agopuntura: è l'arte di penetrare con aghi di diversi materiali determinati canali che sono in contatto con gli organi interni al fine di ottenere particolari benefici. Essa fu introdotta nel 2700 a.C. ed è ancora in auge ai giorni nostri sostanzialmente immodificata.

La medicina in Grecia

Anche se la nascita del pensiero scientifico si può far risalire alla comparsa delle prime scuole mediche in Italia (Scuola di Crotone e Scuola di Sicilia), è in Grecia che avviene la completa e definitiva emancipazione del medico sul sacerdote con la costituzione del concetto di "clinica".
Nell'antica Grecia la medicina veniva praticata nei ginnasi, nelle palestre e negli jatreia: il ginnasio era il luogo in cui i giovani venivano formati culturalmente e fisicamente, mentre nella palestra si allenavano gli atleti veri e propri. L'uno e l'altra consentirono un certo sviluppo della chirurgia in seguito alle non infrequenti lesioni in cui gli atleti incorrevano nell'esecuzione degli esercizi fisici. Tutti coloro che lavoravano in queste strutture avevano conoscenze abbastanza approfondite di traumatologia e massoterapia; i medici, che solitamente visitavano in strutture pubbliche o private (jatreia), venivano chiamati dal ginnasiarca solo nei casi più gravi.

Scuola di Cnido

Particolare fu l'interesse di questa scuola per l'anatomia; il concetto di patologia appare invece piuttosto rudimentale in quanto ogni malattia era considerata un fenomeno completamente isolato e relativo al singolo organo che ne veniva colpito. Anche la terapia era poco sviluppata: si basava essenzialmente su latte, siero e succhi di alcune piante (euforbio, elleboro come cardiotonico e diuretico, scammonea e coloquintide come purganti drastici, oltre ai semi di dafne, detti anche granelli cnidici come revulsivo).

Scuola di Coo

C'è il passaggio all'osservazione diretta del malato eseguita con grande larghezza di vedute ed ottime intuizioni che distinguono indiscutibilmente questa scuola da tutte le altre: nasce qui il vero concetto di clinica e della conseguente diagnosi. Il medico è uomo, e la sua opera non ha sfumature soprannaturali, mistiche, astratte o filosofiche. La medicina deve essere una ricerca continua, serena e disinteressata alla quale bisogna dedicarsi solo per amore di essa e della 
o libri a contenuto etico 
o libri di clinica e patologia 
o libri di chirurgia 
o libri di ostetricia, ginecologia e pediatria 
o libri di anatomia e fisiologia 
o libri di terapeutica e dietetica.

La figura del medico.

E' l'unione del perfetto uomo con il perfetto studioso: calma nell'azione, serenità nel giudizio, moralità, onestà, amore per la propria arte e per il malato sono i cardini della personalità del medico così come era concepito da Ippocrate. Ogni interesse personale passa in secondo piano. Non è certo un essere superiore ed infallibile come i sacerdoti degli antichi templi, ma deve sopperire alla sua fallacità con il massimo dell'impegno e della diligenza in modo da commettere solo errori di lieve entità. Deve inoltre essere filosofo, ma non tanto da farsi distogliere dalla vera scienza che è quella che si appoggia su solide basi pratiche. Il suo abito, infine, deve essere decoroso ed il suo aspetto denotare salute.
Con il passare dei secoli questa concezione rimase sostanzialmente immutata al punto che il Papa Clemente VII (Pontefice dal 1523 al 1534), in una sua bolla, stabilì che il laureato in medicina si impegnasse solennemente ad osservare il testo del giuramento ippocratico.

L'anatomia

Non fu molto approfondita dalla scuola di Coo per due motivi principali: da una parte Ippocrate era più indirizzato verso il lato pratico della medicina, aveva cioè una maggiore propensione per la clinica; dall'altra la cultura greca aveva un rispetto assoluto per i corpi dei morti, quindi non c'era la possibilità di studiare l'anatomia esercitandosi direttamente sui cadaveri.
Si avevano nozioni di osteologia, soprattutto riguardo la struttura delle ossa del capo, delle vertebre e delle costole; molto poco si sapeva di miologia, anche se si conoscevano i principali muscoli del dorso e degli arti; vene ed arterie venivano confuse, così come nervi e legamenti. Di cuore e cervello erano note le principali caratteristiche morfologiche ma non le reali funzioni. Gli organi di senso erano probabilmente oggetto degli studi più accurati, soprattutto per quanto riguarda la struttura dell'occhio.

La patologia

Alla base della medicina ippocratica stava l'integrazione tra una concezione pneumatica della vita ed una umorale, ma quest'ultima rivestiva senza dubbio un ruolo più importante. Gli umori erano quattro: sangue (caldo umido) che proveniva dal cuore, una sorta di muco detto flegma (freddo umido) dal cervello, bile gialla (caldo secco) dal fegato, bile nera (freddo secco) dalla milza. Lo stato di salute si aveva quando questi umori erano perfettamente bilanciati tra loro; se invece la crasi era alterata per l'eccesso, la corruzione o la putrefazione anche di un solo componente, allora insorgeva la malattia. Era la natura stessa con la sua capacità curativa ad intervenire nel tentativo di ristabilire l'equilibrio tramite l'espulsione degli umori in eccesso per mezzo di urina, sudore, pus, espettorato e diarrea. Se invece la malattia risultava più forte del processo autoriparativo dell'organismo il paziente moriva. Per poter essere eliminati gli umori, dovevano prima essere modificati con un processo che Ippocrate definiva di "cottura". Il periodo intercorrente tra questo processo e la guarigione prendeva il nome di "crisi".
Il predominio di uno dei quattro umori conferiva anche particolari caratteristiche all'individuo (principio della costituzione e dei temperamenti): si avevano così i temperamenti sanguigno, biliare, flemmatico e atrabiliare.
Motivi dell'alterazione degli umori potevano essere le intemperie, la dieta o, concezione nuova in assoluto, cause fisiche correlate all'ambiente di vita. Altra novità fondamentale introdotta dalla dottrina di Ippocrate fu il fatto di considerare le patologie come fenomeni generali per l'organismo e non relativi ad un singolo organo; quelle più conosciute dalla scuola di Coo furono: la polmonite, la pleurite, la tubercolosi (ma con un concetto ben differente da quello attuale), la rinite, la laringite, la diarrea, alcune malattie del sistema nervoso, l'epilessia, il tetano.

La clinica

L'epoca ippocratica segna la nascita della clinica intesa come studio dei segni e dei sintomi osservabili sul paziente. Vi sono 406 aforismi che racchiudono in frasi brevi e coincise tutte le osservazioni e le esperienze del maestro di Coo; la sua sapienza fu poi diffusa presso tutti i popoli allora più evoluti attraverso traduzioni in arabo, ebraico e latino. Da essi si evince che l'esame effettuato dal medico doveva essere il più approfondito possibile e comprendeva non solo l'ascoltazione, la palpazione e, forse, la percussione, ma anche qualsiasi piccolo indizio che avrebbe potuto essere utile per la diagnosi: diverse sfumature di colore, variazioni di comportamento, insolite contrazioni muscolari, quantità e qualità di qualsiasi escrezione e secrezione ecc.. Da ricordare l'accuratezza con cui veniva esaminata l'urina, valutata come quantità, colore, sedimento e torbidità. Assai particolareggiata e minuziosa era inoltre l'anamnesi, pur essendo rivolta essenzialmente a conoscere solo la situazione presente del malato. La prognosi si basava sullo studio degli esiti delle varie patologie: essa era considerata infausta se si notavano fattori quali disturbi visivi, sudore freddo, anemizzazione delle mani, cianosi delle unghie e stato di agitazione, mentre il polso non veniva tenuto in nessuna considerazione.

La chirurgia

La scuola di Ippocrate disponeva di uno strumentario abbastanza fornito comprendente coltelli e bisturi di varie forme e dimensioni. Gli interventi più frequentemente eseguiti erano la riduzione di lussazioni (con particolari macchine) e di fratture (con stecche e fasciature), la trapanazione del cranio in seguito a fratture delle ossa del capo e la cura dei piedi torti. Assai particolareggiata era inoltre la tecnica delle fasciature. Nella cura delle ferite era raccomandato il riposo e l'applicazione di calore senza ricorrere ad oli o balsami vari.
Limitati erano invece gli interventi in ginecologia e ostetricia: tra questi è notevole il trattamento della deviazione del collo dell'utero con obliterazione e soppressione delle mestruazioni. Era vietata la pratica dell'interruzione volontaria della gravidanza.

La terapia

Varie erano le piante usate come farmaci; tra le più importanti ricordiamo: l'elleboro nero e la scilla (cardiotonici e diuretici), la coloquintide (purgante drastico), il veratro bianco (antireumatico, ipotensivo, contro le affezioni cutanee), l'issopo (espettorante), il giusquiamo (antidolorifico, sedativo), l'oppio, la mandragora e la belladonna (narcotici, analgesici locali), la ruta (abortivo), la menta (stomachico). Pur conoscendo i principali gruppi di medicamenti, la scuola di Ippocrate li usava con moderazione in quanto riponeva molta fiducia nelle capacità autocurative del corpo umano. Venivano inoltre praticati salassi, cure idroterapiche, inalazioni, irrigazioni e lavaggi vaginali. Notevole l'uso di ventose come antiflogistico: creando una depressione nella zona infiammata si provoca una vasocostrizione da suzione che riduce la quantità di essudato e trasudato. Interessante infine l'uso di vesciche introdotte nelle ferite toraciche allo scopo di tamponare la lesione e contenere l'emorragia.
Il principio terapeutico seguito però varia: a prescindere dal fatto che è preferibile sconfiggere la malattia in modo indiretto invece che drasticamente e violentemente, si passa dal concetto del similia similibus (provocare fenomeni simili alla sintomatologia del paziente per guarirlo) a quello certamente più sensato del contraria contrariis (avvalersi di mezzi ritenuti contrari alla causa della patologia). La febbre è un ottimo mezzo per raggiungere la guarigione: il suo calore facilita infatti l'evacuazione degli umori in eccesso accelerandone la "cottura".

La dietetica

Ippocrate considerava la dieta come il complesso di regole e prescrizioni che il malato era tenuto a seguire non solo relativamente al suo regime alimentare che, comunque, era di fondamentale importanza. Lo scopo ultimo era il ripristino dell'equilibrio degli umori tramite la prescrizione di cibi che, a seconda dei casi, erano umidi, caldi, freddi, o asciutti. Il principio generale, come già accennato in precedenza, era quello di aiutare le difese naturali dell'organismo a liberarsi degli umori corrotti o in eccesso, per cui nella fase acuta della malattia erano maggiormente indicati cibi leggeri e bevande poco nutrienti al fine di non distrarre le forze dell'organismo dalla "cottura" degli umori verso quella degli alimenti.
Assai famose erano la tisana, cioè un decotto di orzo macinato, e l'idromele, una bevanda data dalla fermentazione di acqua e miele.

Il dogmatismo post-ippocratico

Da una parte è il riconoscimento della validità delle teorie e del pensiero di Ippocrate, dall'altra è invece il ritorno a una concezione che sembrava ormai superata: c'è nuovamente una certa quale sacralità nel concetto di medicina, anche se l'elemento divino è sostituito da quello umano, cioè dalla dottrina del maestro di Coo.
La scuola dogmatica, che vide come maggiori esponenti Diocle di Caristo (grande studioso di anatomia) e Prassagora di Coo (famoso per i suoi studi di semeiotica), ebbe tuttavia il merito di riconoscere il valore di un nuovo sintomo fino ad allora tenuto in scarsa considerazione: l'esame del polso. Tra i dogmatici va ricordato anche il filosofo Platone che in due delle sue opere (il "Timeo" e il "Simposio") traccia una visione d'insieme sul livello della medicina a quei tempi. La fine di questa scuola si può collocare intorno al 310 a.C., quando la filosofia stoica vi si infiltrò alterandone i principi e mutandone la fisionomia: la dialettica e la speculazione astratta sostituirono infatti l'osservazione dei reali fenomeni patologici.

La scuola di Alessandria

Dopo l'era della clinica rappresentata dalla scuola di Ippocrate, si apre quella caratterizzata dall'esperimento biologico: iniziano studi sistematici su sezioni anatomiche e comincia la pratica della vivisezione su animali. Prima della scuola di Alessandria fu però il filosofo Aristotele, definito da molti come il fondatore dell'anatomia comparata, ad intraprendere questo genere di studi fondendo scienza e filosofia in ragionamenti basati sui suoi famosi sillogismi: studiò a fondo l'anatomia con particolare attenzione per il sistema nervoso e per il cuore.
Alessandria fu indubbiamente il più importante centro culturale del IV
 sec. a. C., e la medicina, come tutte le altre scienze e discipline, raggiunse un elevato grado di specializzazione grazie alla scuola che sorse appunto nella città fondata da Alessandro Magno. Partendo dalla dottrina di Ippocrate approfondì gli studi sull'anatomia e sulla fisiologia anche attraverso vivisezioni per conoscere meglio la struttura e la funzione degli organi dando così il primo impulso all'anatomia patologica. Nel periodo di massimo splendore riuscì ad integrare perfettamente la parte clinica e quella scientifica tentando di colmare le lacune che entrambe presentavano.
Erasistrato fu uno dei più famosi esponenti di questa scuola: mise per primo in dubbio la teoria umorale e ipotizzò che la causa delle malattie fosse da ricercarsi in un'alterazione dei vasi o dei tessuti; dette particolare valore all'esame del polso e fu inoltre assai rinomato per l'accuratezza delle diagnosi; scoprì per primo i vasa vasorum, studiò le valvole atriali e vasali, la vena e l'arteria polmonare, il fegato (notò la correlazione esistente tra cirrosi epatica ed ascite). 
Altro caposcuola fu Erofilo, che si distinse per le precise descrizioni del cervello, dell'occhio e del nervo ottico. Fu inoltre famoso come ginecologo e ostetrico.

La scuola empirica

Si sviluppò tra il 270 e il 220 a. C. grazie all'iniziativa di Filino di Coo e Serapione di Alessandria all'interno della stessa scuola alessandrina. Sorse come risposta sia allo sterile dogmatismo in cui erano caduti molti dei successori di Erasistrato ed Erofilo, sia all'eccessivo indirizzo sperimentale che aveva fatto almeno in parte trascurare l'attuazione pratica della medicina: gli empirici ponevano infatti le cognizioni frutto della loro diretta esperienza in contrapposizione a quelle acquisite da altri.
L'esperienza si basava essenzialmente su tre punti: l'autopsia (cioè la diretta osservazione), l'historicon (la storia delle osservazioni proprie e altrui), l'analogia (il confronto).
Gli esponenti di questa scuola si distinsero nella chirurgia (soprattutto cura di lussazioni e fratture, cataratta e calcoli), nel trattamento delle ferite e nella tecnica delle fasciature, anche se tralasciarono completamente lo studio dell'anatomia e della fisiologia poiché le ritenevano di secondaria importanza rispetto al problema del malato. Persero quindi di vista il concetto di malattia come espressione di un generale malessere dell'organismo, considerando solo la particolarità e la localizzazione della singola patologia.
Poi, anche per il fatto che la ricerca e lo studio delle leggi naturali sembravano giungere a conclusioni spesso troppo difficili da spiegare in confronto alle teorie mistiche ed occultistiche che da sempre avevano trovato terreno fertile in Egitto, tornò la tendenza a rivolgersi alla sfera soprannaturale e magica che si sarebbe manifestata in Occidente con il periodo alessandrino-romano.

La Medicina Etrusca

Un giorno di circa tremila anni fa, Tarconte, il fondatore della città di Tarquinia, mentre era intento a dissodare un campo, vide apparire da dietro una zolla di terra un giovane di nome Tagete che gli rivelò quella che passò alla storia col nome di " ETRUSCA DISCIPLINA ".
L'Etrusca Disciplina racchiude tutto lo scibile culturale, tecnico, sociale e religioso che caratterizzò e distinse la Civiltà Etrusca in ogni momento della sua esistenza.
Per oltre mezzo millennio, la cultura e la tecnologia etrusca sono state trainanti per i popoli italici e non è escluso che la stessa Roma ne sia stata largamente influenzata anche dopo il periodo di convivenza durante la monarchia (753 - 509 a.C.).
Il sistema sociale e politico Etrusco era caratterizzato da una confederazione di Città-Stato, ognuna delle quali era governata da un Re-Sacerdote: il Lucumone.
Il Lucumone era anche il custode dell'Etrusca Disciplina che racchiudeva pure tutte le nozioni riguardanti la prevenzione ed il trattamento medico.
Non possiamo parlare di un tipo di medicina Etrusca differente dalle altre praticate in quel periodo dalle diverse civiltà mediterranee e non: Cinese, Indiana,Egiziana, Persiana, Ebraica, Greca etc., ma di un'ottimizzazione di ciò che di meglio esse potevano offrire.
Nel campo della prevenzione, essendo gli Etruschi profondi conoscitori della Terra e dei suoi tesori ed insidie, davano un'estrema importanza all'igiene personale, alla scelta dell'habitat in cui vivere, all'alimentazione ed all'attività fisica. Alla base di tutto c'era l'acqua che fortunatamente abbondava nel Paese che essi abitavano e le loro città erano tutte costruite su fiumi o torrenti che venivano regolarmente bonificati anche attraverso speciali gallerie dotate di lastre di piombo perforate e drenati nei punti dove avrebbero potuto ristagnare e quindi, provocare la formazione di agenti malarici.
Va ricordato che fu uno dei re Etruschi di Roma, Tarquinio Prisco, a costruire la famosa "Cloaca Maxima dell'Urbe.
Le numerose sorgenti di acqua calda provenienti dal sottosuolo vulcanico dell'Etruria, erano intensamente sfruttate per la cura delle più svariate patologie, come d'altronde si continua a fare tutt'oggi negli stessi luoghi: Saturnia, Viterbo, Chianciano etc.
Il Greco Teofrasto (IV sec. a.C.), successore di Aristotele, e profondo conoscitore di botanica, dice che pure Eschilo (VI sec. a.C.) affermava che "l'Etruria è un paese ricco di farmaci".

La farmacologia Etrusca era sostanzialmente fitoterapica ma includeva pure alcuni minerali come la limatura e l'ossido di ferro (anemie) rame (infiammazioni) ed alcuni sali come sodio e potassio etc.
Le piante medicinali usate sono più o meno quelle in uso nella fitoterapia odierna come ad esempio: la scammonea (itterizia), il ricino (purgante), aglio e cipolla (battericidi), timo (vermifugo), camomilla etc. Altri "farmaci" molto usati erano il cavolo e il vino.
Nel campo chirurgico abbiamo molte testimonianze dell'attività Etrusca dal ritrovamento di strumenti conservati in diversi musei e soprattutto, per quanto riguarda l'ortopedia, dalle numerose fratture ricomposte riscontrate sugli scheletri ritrovati che dimostrano che il soggetto ha continuato a vivere dopo l'intervento. Il taglio cesareo era previsto ma solo in caso di minaccia di morte della partoriente.
L'anatomia degli organi interni era praticata solo sugli animali dato che gli Etruschi avevano un profondo rispetto per il corpo dei defunti. L'organo più studiato era il fegato dato che era considerato la fonte del sangue. Il compito dello studio era affidato all'aruspice che ne conosceva ogni minimo particolare e nel corso di tale operazione prevedeva nella posizione di determinati punti particolari, svariati eventi che sarebbero accaduti. La struttura del corpo umano era invece insegnata tramite speciali riproduzioni del medesimo in terracotta.
Ma il settore nel quale gli Etruschi emergevano è senza dubbio l'odontoiatria. In diversi musei sparsi in tutto il mondo esistono teschi con protesi dentarie, prevalentemente d'oro, di fattura altamente perfetta e sofisticata tale da stupire i moderni odontotecnici e dentisti.
Gli Etruschi erano rinomati in tutto il mondo allora conosciuto per la loro abilità nel lavorare qualsiasi metallo ma specialmente con l'oro ed il rame avevano scoperto delle tecniche rimaste ineguagliate per diversi secoli. Per primi hanno introdotto e sviluppato la granulazione e la filigrana che permettevano lavorazioni precise, funzionali e raffinate.
I denti che dovevano sostituire quelli mancanti sostenuti dai ponti in oro, non potendo essere ottenuti da cadaveri, venivano ricavati in prevalenza da animali e quindi sagomati e adattati perfettamente al sistema masticatorio del paziente.

La tecnologia e la perizia medica Etrusca è stata in seguito ereditata dai Romani che all'inizio del secondo secolo a.C., hanno aperto le porte pure alla emergente medicina Greca pur mantenendo come base quella appresa dai loro maestri Etruschi.

La medicina nell'antica Roma

Lo sviluppo della medicina in Roma si può dividere in tre periodi: il primo è quello della medicina detta autoctona, di antica origine italica; il secondo è caratterizzato dalla coesistenza dell'elemento autoctono e di quello greco che andava infiltrando il mondo romano (fase di transizione) ed il terzo consiste nel definitivo trapianto della medicina greca nel mondo romano (periodo delle scuole).

Fase di transizione

E' caratterizzata dall'arrivo a Roma di parecchi medici greci, molti dei quali erano per la verità di scarsa abilità tecnica e di dubbia moralità: si occupavano infatti principalmente di esecuzione di aborti, della produzione e della vendita di filtri amorosi. Erano quasi tutti schiavi o liberti, per cui inizialmente non godevano di grande prestigio.
Con Arcagato, arrivato dal Peloponneso intorno al 219 a.C., inizia invece la pubblica professione medica esercitata in luoghi a metà strada tra ambulatori, farmacie e scuole detti tabernae medicinae che ricordavano molto da vicino gli jatreia greci descritti da Ippocrate.

Periodo delle scuole

E' il momento di maggiore splendore della medicina a Roma: non a caso coincide con l'età imperiale. Sotto l'influenza delle varie scuole che tuttavia degeneravano spesso in vere e proprie sette in aperta contraddizione tra loro, comincia a prendere forma un pensiero medico vero e proprio.
Questo periodo abbraccia tre fasi ben distinte che hanno come punto di riferimento la figura di Galeno: la fase pre-galenica, quella galenica e quella post-galenica.

Medicina pre-galenica

Si estende quasi fino alla metà del II
 sec. d.C. (dall'arrivo a Roma di Asclepiade fino alla nascita di Galeno) ed ha come principale caratteristica la presenza di una moltitudine di scuole, dottrine e tendenze varie tra cui vanno ricordate la scuola metodica, quella pneumatica, quella eclettica e l'enciclopedismo.
La scuola metodica prese questo nome perché si proponeva di razionalizzare e semplificare la propria dottrina per renderla accessibile anche alle menti meno brillanti. L'effetto che ottenne fu invece quello di togliere scientificità alla medicina e di avvilirne il significato. Ebbe come ispiratore Asclepiade di Bitinia (50 a.C. circa) il cui pensiero si basava sul fatto che la materia fosse composta da atomi che unendosi lasciavano tra loro dei pori attraverso i quali si muovevano altri atomi. Lo stato di salute era dato dalla perfetta proporzione tra atomi e pori; la malattia era data invece dall'eccessiva larghezza o strettezza degli stessi (status laxus che provocava pallore, flaccidità e astenia e status strictus che era caratterizzato da rossori, calori e sete ardente). Negava inoltre il principio ippocrateo della natura guaritrice che non poteva in alcun modo restringere o allargare i pori causa di malattia. Abbandonando poi la teoria umorale ridusse anche l'uso dei medicinali incentrando il suo modello di terapia su massaggi, idroterapia, passeggiate e musica. A questa scuola non mancarono comunque validi esponenti come Sorano d'Efeso e Celio Aureliano: essi andarono oltre la concezione degli atomi e dei pori occupandosi di patologia, di clinica, di terapia e di igiene.

La scuola pneumatica

Rappresentò una reazione a quella metodica e il ritorno ad alcuni principi cari ad Ippocrate. Deve il suo nome al fatto che individuava il pneuma, cioè il respiro, come la base dell'economia vitale dell'organismo anche se riteneva molto importante l'equilibrio degli umori sia per la costituzione fisica che per il temperamento. Fu fondata intorno al 50 d.C. da Ateneo di Attaleia, famoso per i suoi studi di semeiotica e sul polso, che considerava indice dello stato del pneuma nelle arterie.

La scuola eclettica

(dal 90 d.C.) tolse al sistema metodico la sua parte più ipotetica e assoluta mettendo invece in evidenza ciò che aveva di positivo e sperimentale, riprendendo inoltre la parte osservatrice di Ippocrate. Agatino da Sparta fu il suo fondatore; tra gli altri va citato Areteo di Cappadocia, famoso per l'accuratezza di alcune descrizioni anatomiche e di vari quadri patologici.

L'enciclopedismo

Consisteva nella trattazione di argomenti o tematiche di qualsiasi genere. La medicina, essendo un settore ancora relativamente inesplorato, attirò molti tra i più famosi scrittori romani tra cui Cicerone, Vitruvio, Marco Terenzio Varrone, Lucrezio, Plinio il Vecchio, Gellio e Seneca che, pur non essendo medici, se ne occuparono comunque in maniera abbastanza approfondita.
Un discorso a parte merita per la portata dei suoi studi e della sua opera Celso, uno tra i pochi medici originari di Roma; egli fu fondamentalmente ippocratico anche se non disdegnò altre dottrine quando spiegavano in modo sensato i fenomeni da lui presi in esame. Nelle sue opere trattò approfonditamente di patologia, di clinica, di igiene, ma soprattutto di chirurgia: da ricordare, tra tutte le altre cose, la legatura dei vasi nelle emorragie più imponenti, la sutura delle ferite profonde, la toracotomia, le ernie inguinali, ombelicali e scrotali, l'intervento per l'eliminazione dei calcoli vescicali, la tecnica delle operazioni di emorroidi e varici, la chirurgia plastica e ben 24 tipi procedure chirurgiche in oculistica.

Galeno (138-201)

Si batté con decisione contro l'imperversare delle scuole che, in ultima analisi, stavano portando la medicina verso un periodo di decadenza ergendosi ad arbitro di tutto lo scibile medico: tentò di separare il vero dal falso, indipendentemente dalla fonte di provenienza, riunificando i vari sistemi di studio con la raccolta di tutto il materiale a sua disposizione, esaminandolo e vagliandolo a fondo e cercando di perfezionare il metodo sperimentale che stava alla base del suo pensiero. Dal momento che dette anche particolare valore alla clinica ed alla patologia, si può certamente dire che fu l'artefice della più completa forma di medicina mai concepita fino a quel momento.
In anatomia non si limitò a sterili descrizioni morfologiche: cercò di capire la funzione e la finalità di ogni singola parte dell'organismo, anche se sezionò più che altro corpi di animali (principalmente maiali, cani e scimmie). Le parti più minuziosamente trattate sono l'osteologia e la neurologia.
In fisiologia quasi ogni studio fu suffragato dalla parte sperimentale: scoprì la differenza tra nervi motori e sensitivi, distinse le lesioni degli emisferi cerebrali da quelle del cervelletto, valutò la funzione escretrice dei reni, la circolazione fetale e si occupò particolarmente degli organi di senso. Si soffermò inoltre a lungo sulla funzione circolatoria che, nonostante grossolani errori, avrebbe formato un caposaldo della fisiologia medioevale fino al Rinascimento; i suoi punti fermi erano i seguenti: il fegato è il centro del sangue venoso e il cuore di quello arterioso; il cuore destro e quello sinistro comunicano tra loro; il sangue si esaurisce negli organi; le vene polmonari portano sangue sporco ai polmoni e lo riportano purificato al cuore.
In patologia non raggiunse invece livelli di eccellenza in parte per la costante preoccupazione di voler classificare ogni malattia, in parte per una venatura di filosofismo che emergeva nei casi in cui non riusciva a risalire alle reali cause del male. Partendo da due teorie abbastanza semplici, e cioè da quella dell'alterazione dei pori che si trovano tra gli atomi e da quella umorale, inserì nella sua dottrina una gran quantità di termini astrusi, suddivisioni spesso artificiose, cause e concause, portando talvolta la formulazione della diagnosi in un campo puramente astratto tramite sillogismi aristotelici senza dar luogo all'esame diretto del malato.
In clinica fu invece assai minuzioso: grazie alla diretta osservazione del malato, alla profonda conoscenza dell'anatomia ed all'esperienza accumulata durante i suoi studi di fisiologia era in grado di spiegare fatti e fenomeni che sfuggivano ai medici della sua epoca. Degna di essere ricordata è la diagnosi differenziale tra emottisi, ematemesi e sputo sanguigno da epistassi; descrisse inoltre vari tipi di febbre, i sintomi dell'infiammazione e sottolineò l'importanza dell'esame delle urine e della valutazione del polso di cui distinse non meno di 40 varietà. 
Galeno fu poi il primo vero esperto di medicina legale: si occupò di morti vere ed apparenti, iniziò la pratica della docimasia idrostatica polmonare per constatare, in caso di sospetto infanticidio, se il feto avesse o no respirato, e delle simulazioni delle malattie.
In terapia partì dal concetto ippocratico della forza medicatrice della natura basandosi sulla regola del contraria contrariis. Ogni medicamento doveva poi essere di provata efficacia e prescritto per una ragione plausibile; conosceva quasi 500 sostanze semplici di origine vegetale e una vasta gamma di origine animale e minerale. Tra quelli composti i più famosi erano la picra (purgante amaro a base di aloe) e la hjera (purgante sacro a base di coloquintide). Frequente era anche il ricorso al salasso.

Medicina post-galenica

Generalmente con la morte di Galeno si rappresenta la chiusura del periodo aureo della medicina romana, anche se per almeno altri tre secoli la scienza medica sarebbe stata ancora sulla cresta dell'onda. Dopo Galeno, ad ogni modo, si sviluppò una sorta di dogmatismo e uno sterile canonismo portato avanti da figure a volte degne di nota che tuttavia non aggiunsero nulla di nuovo a quanto già era noto. 
Oltretutto iniziò la tendenza allo sconfinamento del conoscibile nel campo dell'inconoscibile, caratteristica peculiare della medicina nel medioevo. Da ricordare Leonida di Alessandria (studiò la filaria e fu esperto negli interventi su ernia e gozzo), il famoso chirurgo Filagrio e suo fratello Poseidonio (si occupò delle malattie del cervello descrivendo molto accuratamente i deliri acuti, gli stati comatosi, quelli catalettici, l'epilessia e la rabbia).

Condizioni igienico-sanitarie nell'epoca romana

Una delle caratteristiche più peculiari della psicologia romana fu senza dubbio la preoccupazione per le norme igieniche allo scopo di formare buoni soldati e proteggere la salute di tutti i cittadini: fin dai tempi della repubblica iniziò la costruzione di acquedotti, bagni e piscine, si presero provvedimenti atti a risanare luoghi malsani, si fecero studi per scegliere oculatamente i luoghi dove costruire insediamenti urbani, vennero emanate vere e proprie ingiunzioni legali al fine di moderare l'alimentazione e di evitare malattie. Celso, ad esempio, si dilunga parecchio su questo argomento nelle sue opere evidenziando particolarmente l'importanza della dieta, della moderazione nei rapporti sessuali, della necessità di scegliere un clima conveniente e di dedicarsi all'esercizio fisico ed ai bagni. Tra gli aspetti di maggior rilievo trattati dall'igiene romana vanno ricordati l'igiene dell'acqua, quella mortuaria, quella alimentare e l'esercizio fisico.

L'acqua

Fu probabilmente l'argomento principale in tutti i suoi aspetti: sia come elemento di insalubrità (nei luoghi paludosi), sia come bisogno primario di ogni agglomerato urbano, sia come elemento di pulizia e di rinvigorimento delle forze fisiche, sia come sussidio terapeutico.
Già gli Etruschi iniziarono il risanamento di alcune zone malariche attraverso canali di drenaggio che favorivano lo scolo delle acque stagnanti, e cunicoli muniti di lastre di piombo bucherellate per filtrare e depurare l'acqua. I Romani proseguirono queste opere di bonifica iniziando con la costruzione della Cloaca Massima all'epoca di Tarquinio Prisco e con la canalizzazione delle acque urbane reflue nel Tevere. 
La sorveglianza dello smaltimento delle acque di rifiuto e delle rive del fiume era ritenuta di fondamentale importanza ed era pertanto affidata a particolari autorità civili: in un primo momento se ne occupavano Edili e Censori, poi fu invece creato un vero e proprio apparato burocratico al cui vertice stava il Comes Cloacarum da cui dipendevano i Consulares Aquarum che arrivarono anche al numero di 700. Altra figura di primo piano era il Curator Aquarium, responsabile della sorveglianza degli acquedotti deteriorati e di quei tratti di terreno nei quali scorrevano le condutture sotterranee; egli vigilava per impedire che si costruissero case, che si piantassero alberi o che si accumulassero immondizie nelle loro immediate vicinanze.
Fu Anco Marzio a portare per la prima volta l'acqua verso Roma attraverso un sistema di incanalamento, ma il primo vero e proprio acquedotto (che misurava 11 miglia romane) fu costruito dal censore Appio Claudio nel 312 a.C.. Con il passare degli anni nella sola città di Roma si arrivò al numero di 14 acquedotti per un totale di 600 Km con una portata di ben 1,5 milioni di metri cubi giornalieri, e tantissimi altri ne furono costruiti in tutte le città più importanti dell'impero (Nimes, Tarragona, Segovia, Parigi, Cartagine...). 
Come accennato in precedenza gli acquedotti erano in parte sotterranei e in parte scorrevano sopra strutture composte da arcate. Nel primo caso, ad intervalli regolari, vi erano aperture dette putei che servivano per la ventilazione e lo spurgo del canale. Il condotto che portava l'acqua era detto specus ed era dotato di un rivestimento impermeabile. In tratti nei quali l'acqua non era limpida venivano costruite infine alcune vasche dette piscinae limariae allo scopo di far sedimentare il fango.
Altro segno tangibile della cultura romana e della sua attenzione all'igiene pubblica sono le terme, costruzioni di cui l'Urbe fu ricchissima, tanto che nell'epoca di maggior splendore se ne contavano circa 800 nella sola area della città. Anche se in seguito sarebbero state probabilmente una tra le cause della decadenza della civiltà romana a causa dell'uso smodato che si finì per farne, il principio che le aveva ispirate era senza dubbio positivo. I romani erano soliti bagnarsi nel Tevere già fin dai primi tempi dopo la fondazione della città; poi cominciarono ad essere costruite piscine artificiali, pubbliche e private . I lavaggi quotidiani si limitavano alle braccia e alle gambe, mentre ogni nove giorni veniva lavato tutto il corpo.
Vitruvio codificò il sistema architettonico delle terme romane: a prescindere dal fatto che l'orientazione della struttura doveva essere tale da poter ricevere il sole in certe ore piuttosto che in altre e che si doveva tenere nella giusta considerazione anche l'esposizione ai venti, i tre elementi essenziali erano le vasche di acqua tiepida, calda e fredda, ovvero il tepidarium, il calidarium e il frigidarium e quelli accessori, il laconicum (la sauna) e gli apodicteria (gli spogliatoi). Poi, a seconda della maggiore o minore lussuosità, si potevano aggiungere anche altri ambienti totalmente estranei al concetto igienico come ad esempio la biblioteca, lo stadio o la palestra.
Le donne potevano accedere alle terme di mattina, gli uomini invece da mezzogiorno fino a dopo il tramonto; gli ammalati potevano entrare anche prima dell'orario di apertura. Solitamente il trattamento iniziava con esercizi fisici, bagni di sole e massaggi; poi si passava nella vasca calda, in quella tiepida, e per ultimo in quella fredda. Infine la seduta alle terme prevedeva un ulteriore massaggio, l'unzione con balsami ed oli profumati. 
Numeroso era il personale che lavorava alle terme: a parte il conductor (appaltatore) e il balneator (amministratore), vi erano parecchi schiavi addetti a vari servizi come l' arcarius (guardarobiere), il capsarius (cassiere), l'unctor (untore), il tractator (massaggiatore), l'alipiles (depilatore).

L'esercizio fisico

Uno dei caposaldi fondamentali nell'organizzazione sanitaria di Roma fu l'educazione fisica che veniva impartita nei ginnasi e nelle palestre al fine di irrobustire la gioventù e dare alla patria cittadini sani e soldati forti. Da ricordare la Iuventus, un'associazione a carattere ginnico premilitare a cui potevano iscriversi i giovani dai 6 ai 18 anni di età. Nei ginnasi il sistarca si occupava di dirigere gli esercizi coadiuvato dal gymnasta il quale non era un vero e proprio medico, ma doveva avere anche nozioni di traumatologia ed ortopedia.

L'igiene mortuaria

Molte erano le leggi riguardo le sepolture e i funerali, ma probabilmente vanno intese più in senso rituale che igienico. 
Inizialmente i cadaveri venivano bruciati e le ceneri raccolte in urne che venivano depositate in ampie tombe comuni, mentre con l'avvento del cristianesimo iniziò l'uso di seppellire i morti: sia la cremazione che la sepoltura dovevano essere effettuate fuori dalla città per impedire il diffondersi di esalazioni provenienti dai corpi; l'inumazione si eseguiva chiudendo la salma in una bara di marmo o di metallo. Gli schiavi, i poveri e gli avanzi del circo venivano invece gettati in sorta di fosse comuni a cielo aperto nei pressi del colle Esquilino (i puticoli) e spesso diventavano cibi per corvi e cani randagi, almeno finché Mecenate non decise di bonificare tutta quella zona.

L'igiene alimentare

Esistevano leggi per la morigeratezza dei banchetti che stabilivano persino la quantità dei cibi da usarsi a seconda delle persone presenti; era punita inoltre l'ubriachezza, ma solo quella delle donne. Abbastanza attenta era la vigilanza sui generi alimentari: gli Edili erano responsabili del controllo sulla qualità dei prodotti in vendita all'interno dei mercati ed avevano anche la facoltà di elevare contravvenzioni. Particolare cura era riservata la sorveglianza sul grano e sulle carni.

Altre norme igieniche

Apposite leggi regolavano il servizio di nettezza urbana e altre disposizioni riguardavano la manutenzione delle strade, dei luoghi dove sorgevano le terme, delle fognature e delle latrine: ad esempio vi erano disposizioni ben precise sugli appalti per lo svuotamento dei pozzi neri e non era consentita la circolazione all'interno della città durante il giorno ai carri che trasportavano i materiali di rifiuto.
Da ricordare la legge contro il celibato (sia per scopi demografici che per motivi igienici) e quella sulla prostituzione: le "case chiuse" potevano essere aperte fuori città e solo di sera; inoltre le meretrici dovevano essere iscritte in un apposito registro controllato dagli edili.

L'epidemiologia romana

Il concetto di epidemiologia non si discostò molto da quello che già esisteva in epoca greca: si pensava cioè alla costituzione epidemica dell'atmosfera causata dagli eccessi di calore, umidità, secchezza e freddo; si sospettava poi che una qualche sostanza velenosa non bene identificata (ma che si pensava provenire dalla putrefazione dei cadaveri insepolti) potesse penetrare nell'organismo principalmente attraverso le vie respiratorie.
Non mancavano però interpretazioni assolutamente fantastiche: le pestilenze potevano avere origine tellurica (il veleno esalava dalla terra dopo i terremoti), religiosa e astrologica. Contro di esse si accendevano grandi fuochi in cui venivano bruciati fiori profumati ed unguenti aromatici in modo tale da rinnovare e purificare l'aria.

L'ospedalità a Roma

Non si può certo parlare di vere e proprie cliniche o strutture di stampo ospedaliero nell'antica Roma, tuttavia bisogna ricordare la presenza dei valetudinaria, cioè infermerie private dove i patrizi erano soliti curare i propri famigliari e gli schiavi. Qui trovavano impiego sia medici che infermieri (servi a valetudinario). Inoltre erano famose le medicatrinae adiacenti al tempio di Esculapio, sull'isola Tiberina, dove gli ammalati erano tenuti sotto la diretta osservazione di medici e dei loro discepoli.

L'insegnamento della medicina

Ai tempi della medicina autoctona l'istruzione in questo ambito era affidata al pater familias; nel periodo di transizione si apprendeva l'arte medica, principalmente per imitazione, nelle tabernae; nel periodo imperiale sorsero infine varie scuole private. Naturalmente non era previsto nessun esame di idoneità alla professione: l'abilitazione veniva attestata dal giudizio insindacabile del maestro. Solo in seguito lo stato iniziò ad occuparsi dell'ordinamento degli studi stabilendo una parte di insegnamento teorica ed una pratica. La teoria era trattata nelle biblioteche e nelle scholae medicorum, mentre le lezioni pratiche in cui si apprendevano i rudimenti della semeiotica, della clinica e della chirurgia venivano impartite nei valetudinari e durante le visite private che il maestro faceva nelle case dei suoi clienti. L'imperatore Vespasiano istituì uno stipendio per coloro che si dedicavano all'insegnamento, Adriano in seguito decise che spettava loro anche una sorta di liquidazione una volta cessata l'attività didattica. Quest'ultimo fece inoltre costruire un grande edificio scolastico (atheneum) dove si tenevano pubbliche lezioni, probabilmente anche di medicina. In realtà la prima testimonianza di una cattedra statale di medicina si ebbe sotto l'impero di Alessandro Severo nel III
 sec. d.C., e in seguito Giuliano l'apostata decretò nel IV
 sec. d.C. la legge sull'idoneità dei medici stabilendo un programma di studi comprensivo di frequenze obbligatorie.

La medicina militare

Nell'esercito romano c'era un medico per ogni coorte e due per quella in prima linea. Dipendevano dal praefectus castrensis e da un medico capo che spesso era anche il medico personale dell'imperatore, ma non potevano passare al rango di ufficiali in quanto non partecipavano direttamente alle battaglie. L'assistenza ai feriti veniva prestata direttamente sul campo, all'aperto; per i casi più gravi c'era il valetudinarium in castris, una sorta di ospedale da campo che poteva contenere fino a 200 pazienti e in cui trovavano impiego anche infermieri, massaggiatori ed inservienti.

La scuola salernitana

E' considerata la più antica ed illustre istituzione medievale medica del mondo occidentale; in essa confluirono tutte le grandi correnti del pensiero medico fino ad allora conosciuto: la leggenda narra infatti che nacque dall'incontro di un medico romano, uno greco, uno ebreo ed uno arabo. Le prime testimonianze storiche certe risalgono all'inizio del IX
 sec.: in quel tempo lo studio della medicina a Salerno era principalmente pratico e, anche se la tendenza di questa scuola è spiccatamente laica, erano i monaci che tramandavano oralmente gli insegnamenti.
Una delle novità più importanti di questa scuola sta nel fatto di non accettare passivamente la malattia: non solo non si arrende di fronte ad essa, la combatte e la cura, ma soprattutto cerca di prevenirla con ben precisi strumenti medici; si oppone inoltre alla teoria secondo la quale è inutile curare il corpo in quanto la vera salvezza non appartiene al mondo terrestre. Alla base del concetto di medicina della scuola di Salerno stanno approfonditi studi anatomici sul corpo umano, l'importanza dell'armonia psico-fisica e il valore di una dieta corretta ed equilibrata, principi che ancora oggi sono ripresi e riaffermati dalla medicina psicosomatica e dalla scienza dell'alimentazione.
Altro grande progresso è il fatto che i maestri salernitani sono disposti a scendere dalla cattedra per avvicinarsi al letto del paziente e discutere con gli allievi degli aspetti clinici delle malattie. Non era comunque facile diventare medico a Salerno: prima bisognava studiare la logica per tre anni, poi altri cinque erano di scuola medica (non solo la teoria sui classici greci, ma anche la pratica con autopsie per poter riconoscere i vari organi e capirnela funzione) ed infine si sosteneva un esame sia con il maestro del corso, sia alla presenza di un collegio composto da altri medici. Se l'esame veniva superato il giovane medico riceveva un attestato davanti al quale il re rilasciava la licenza per esercitare la professione non prima però di avere trascorso un anno come tirocinante presso un medico anziano. Da notare infine che la scuola era aperta indistintamente a uomini e donne che tuttavia esercitavano soprattutto la ginecologia. 
I precetti fondamentali della scuola salernitana sono raccolti nel Flos Medicinae Salerni (detto anche Regimen sanitatis salernitanum o Lilium medicinae): è un trattato igienico-profilattico a carattere divulgativo che espone una serie di norme scritte in versi che individuava una serie di elementi esterni all'organismo (alimentazione, luoghi, fattori climatici, attività fisica...) che andavano controllati e regolati al fine di conservare e migliorare la salute dell'individuo. Veramente notevole era la conoscenza delle erbe medicinali; tra gli innumerevoli esempi può essere ricordato l'issopo contro le bronchiti e le affezioni respiratorie, la ruta per la vista (favorisce la microcircolazione oculare), il colchico come antireumatico. Non si può poi dimenticare l'importanza che ebbe la chirurgia: nella Practica chirurgiae di Ruggero Frugardi (il primo chirurgo salernitano) sono menzionate tecniche come la sutura dei vasi sanguigni usando fili di seta, le metodiche per la trapanazione del cranio, una sorta di rudimentale anestesia effettuata con sostanze estratte dalla Spongia somnifera e il consiglio di adoperare nella terapia medica del gozzo spugne ed alghe contenenti iodio.

Le università

Le prime università sorsero a partire dal XIII
 sec. dove già esistevano centri di studio sia laici, sia di ispirazione religiosa, famosi per l'abilità o per il valore didattico di determinati insegnanti. Queste istituzioni erano molto ben viste dai comuni e dai loro regnanti perché contribuivano alla loro fama: c'erano vere e proprie gare per avere i migliori insegnanti e il maggior numero di studenti. Ai primi erano riservati lauti compensi, onori, privilegi ed esenzioni; i secondi erano attirati non solo dall'amore per la conoscenza, ma anche dalla possibilità di godere delle occasioni di bella vita e di piacere offerti dall'ambiente goliardico. La prima università in Italia fu quella di Bologna (1088) e i primi corsi di medicina partirono nel XII
 sec. dando a chi li frequentava le qualifiche prima di Magistri, poi di Medici fisici, quindi di Professori ed infine di Dottori. L'ufficialità alla facoltà di medicina (all'interno di quella degli artisti) fu concessa dal papa Onorio III nel 1219 provocando non poche proteste da parte degli universitari giuristi che fecero forti pressioni per impedire il riconoscimento di uguali diritti ai nuovi arrivati, cercando di allontanarli il più possibile verso altre città. Fu così che all'università di Bologna fecero ben presto seguito quelle altrettanto famose di Padova (1222) nata da un gruppo di insegnanti e studenti provenienti da Bologna, e di Napoli (1224).

Da ricordare all'estero l'università di Montpellier, che risentì molto sia dell'influenza ebraica, sia di quella della scuola salernitana e l'università di Parigi, riconosciuta ufficialmente nel 1200, entrambe sotto la diretta dipendenza dell'autorità ecclesiastica; dall'esperienza di quest'ultima nacquero poi le università di Oxford e Cambridge.

Il Medioevo - Le pestilenze

Con la parola pestilenza si indicava qualsiasi genere di malattia epidemica rapidamente diffusibile anche per cause diverse dal contagio vero e proprio (intossicazioni, carenze alimentari...). Per spiegare queste morie l'epidemiologia medioevale ricorse ad interpretazioni naturali e soprannaturali: l'opinione più diffusa era la presenza nell'aria di vapori nocivi contenenti un veleno pestilenziale; un'altra ipotesi era quella di giganteschi incendi scoppiati in oriente che producevano fumi velenosi, oppure il morbo poteva provenire anche dalle viscere della terra o dal cielo a causa di maligne congiunzioni astrali. Ci fu poi anche chi pensava all'avvelenamento dei pozzi da parte di ebrei o di lebbrosi, scatenando così vere e proprie persecuzioni soprattutto in Francia, credenza che rimase radicata nella storia dando luogo alle dicerie sugli "untori" in epidemie posteriori.
A partire dal XII sec. si può fare in Europa un conto approssimativo di una pestilenza più o meno grave in media ogni 10-15 anni. Senza contare la lebbra, una delle malattie più conosciute fin dall'antichità e di cui si parlava già nella Bibbia, le patologie che più frequentemente causavano queste morie erano: la malaria, il fuoco di S. Antonio, il vaiolo, il tifo, lo scorbuto e soprattutto la peste bubbonica. Quest'ultima raggiunse il massimo della mortalità nel 1348 manifestandosi nella forma polmonare che dava esito letale già nel terzo o quarto giorno di malattia: il contagio cominciò nel 1333 in Asia, si diffuse verso l'India ma colpì anche la Crimea e le altre zone intorno al Mar Nero da una parte e la Mesopotamia, l'Arabia e l'Egitto dall'altra; nel 1347 arrivò in Italia penetrando attraverso la Sicilia e le repubbliche marinare; si diffuse poi in Olanda, in Inghilterra, in Germania, in Polonia ed in Russia per estinguersi nel 1353 sulle rive del Mar Nero, suo punto d'origine, probabilmente perché lì trovò i superstiti dell'episodio di 20 anni prima ormai immunizzati. Solo in Italia morirono 60000 persone a Napoli, 40000 a Genova, 100000 a Venezia, 96000 a Firenze e 70000 a Siena: tenuto conto di queste cifre e dei decessi in tutte le altre città, complessivamente la nostra penisola perse la metà della sua popolazione totale. Nel resto dell'Europa, in soli tre anni (dal 1347 al 1350) si ebbero ben 43 milioni di vittime a causa dell'epidemia.
Le difese adottate dai vari comuni contro le pestilenze furono inizialmente dettate dal bisogno immediato, poi vennero codificate in leggi da applicarsi nei casi di necessità: fin dall'inizio i malati di peste venivano espulsi dalle città; venne impedita l'usanza di accompagnare i funerali e tutto ciò che comportava un eccessivo agglomerato di gente; venne fatto obbligo di seppellire i cadaveri fuori dalla città anziché nelle chiese come era consuetudine; vennero stabiliti cordoni sanitari tra le città colpite dalla pestilenza e quelle limitrofe che ancora ne erano immuni; le persone che avevano assistito i malati dovevano stare lontano dalla città per almeno dieci giorni senza avere rapporti con nessuno; le case e le suppellettili degli appestati dovevano essere distrutte; i sacerdoti avevano l'obbligo di denunciare tutti i malati di cui avevano conoscenza; si obbligarono le navi che provenivano da regioni sospette a trascorrere un periodo di 40 giorni fuori dai porti prima di permettere loro l'attracco (da questa pratica nacque il termine "quarantena"). Si dovette però aspettare fino al 1403 per l'istituzione di particolari luoghi di ricovero, costruiti a spese dello stato e grazie a donazioni private, dove si potevano isolare i malati di peste (lazzaretti): la prima città a dotarsi di tali strutture fu Venezia, in particolare sull'isola di S. Maria di Nazareth dove i frati dell'ordine di S. Agostino avevano edificato un monastero. Il termine "lazzaretto" deriva infatti in parte dall'errata pronuncia di Nazarethum, con cui si identificava il suddetto monastero ed in parte dal fatto che su un'isola poco distante (S. Lazzaro degli Armeni) già esisteva una sorta di ospedale per i pellegrini. 
Rapidamente tutte le altre città seguirono l'esempio di Venezia seguendo particolari norme: anzitutto un'adeguata distanza dal centro abitato per impedire il contagio, ma non eccessiva lontananza perché non fosse troppo disagevole il trasporto degli ammalati; poi una cura particolare era riservata all'orientamento al fine di evitare l'esposizione ai venti occidentali ritenuti nocivi (erano detti anche "putridi"); era infine consigliata la separazione dei lazzaretti dai centri abitati tramite acqua di mare dove possibile, di fiume (come a Roma per quello istituito sull'isola Tiberina) o di fossato (come a Milano). Senza dubbio i lazzaretti più funzionali erano quelli per la quarantena portuale che consistevano di quattro edifici isolati tra loro: uno serviva per il personale superiore (ispettori, commissari, medici, speziali, sacerdoti ed ufficiali), uno per il deposito di merci non sospette, per i malati comuni e per gli infermieri, un terzo per i malati sospetti e per la merce proveniente da luoghi infetti, l'ultimo, che era costruito ben più lontano dagli altri tre, per coloro che venivano colpiti manifestamente dalla malattia in questione. 
Accanto ai mezzi sopra enunciati che potrebbero essere definiti di profilassi, va ricordato l'unico metodo utilizzato per tentare di debellare i morbi che causavano le varie pestilenze e cioè l'accensione di grandi fuochi. In essi venivano gettati unguenti, resine ed erbe aromatiche per depurare l'aria dai miasmi che si riteneva diffondessero il male in quanto si contrapponevano al tanfo proveniente dai corpi abbandonati in putrefazione. Tra le sostanze più usate vanno menzionate la resina di pino bruciata su legno di larice, lo zolfo, l'aceto ed anche materiali maleodoranti che comunque erano in grado di coprire il fetore dei miasmi come ad esempio lo sterco di bovini, corna e peli di svariati animali. Fu poi introdotto l'uso di tenere alle narici sostanze odorose per purificare l'aria direttamente inspirata: si trattava di spugne imbevute di aceto in cui erano stati tenuti in infusione chiodi di garofano, cannella ed altre spezie.
Molti furono gli autori che in questo periodo si dedicarono alla stesura di opere che dettavano regole e norme per preservarsi dalle varie pestilenze, in particolare dalla peste; tra essi va ricordato Dionisio Colle che enumerò e descrisse nella sua opera molti dei sintomi ai quali andavano incontro gli appestati, consigliando parecchi farmaci tra cui i suffumigi di pino e larice.

L'ospedalità medioevale

Già poco tempo dopo la nascita della religione cristiana iniziò la pratica dell'assistenza caritativa agli ammalati e ai poveri in appositi ospizi e ricoveri: si chiamavano xenodochia quelli riservati agli stranieri, ptochia quelli per i poveri, gerontocomi erano dette le strutture per gli anziani, brefitrofi erano i luoghi dove si curavano i bambini e orfanotrofi quelli destinati a chi aveva perso i genitori.
Sorsero praticamente allo stesso tempo delle associazioni dette ordini ospedalieri; essi avevano in realtà una triplice natura, e cioè erano ospedalieri, militari e religiosi, visto che spesso svolgevano la loro attività in terre straniere, tra gli infedeli e i nemici del cristianesimo.
La situazione di questo genere di strutture non era certamente rosea sotto il profilo del rispetto delle norme igieniche o della qualità dell'assistenza prestata: soprattutto il personale stipendiato lasciava piuttosto a desiderare per comprensione e carità. Anche il tipo di costruzione, sebbene impreziosito da sculture, pitture ed opere d'arte, non appariva certo funzionale alle reali esigenze.
Il primo ospedale sorto in Italia fu quello di S. Spirito in Sassia, fatto costruire dal papa Innocenzo III nel 1201 a Roma. A questo seguirono poi gli ospedali di Pistoia (1271), quello di Firenze (1288) e poi via via tutti gli altri nelle maggiori città della penisola.

Il rinascimento scientifico (sec. XVII)

In questo periodo iniziarono ad essere gettate le fondamenta di un nuovo tipo di scienza che fosse libera dal retaggio del medioevalismo galenico e diretta alla formulazione di leggi e principi generali attraverso l'esperimento, più che all'osservazione scolastica dei fenomeni. Sarebbe veramente troppo lungo ricordare anche solo le principali scoperte di questa epoca, ma, per far capire lo spirito che la animava, è sufficiente menzionare gli studi con cui Galileo Galilei, tra lo scandalo generale, contestò la teoria del geocentrismo, la determinazione della legge di gravitazione universale da parte di Isacco Newton, le prime leggi sulla pressione atmosferica stabilite da Pascal e la dimostrazione da parte di Keplero che le orbite dei pianeti sono regolate da leggi matematiche. Tutto questo fermento era inoltre supportato dal punto di vista filosofico dalle teorie razionalistiche di Cartesio, Francesco Bacone, Tommaso Campanella e Giordano Bruno: mettendo il ragionamento al di sopra della pura sensazione, essi contribuirono ad aprire la strada al metodo sperimentale. 
Nonostante tutto non si registrarono inizialmente grandi scoperte né in patologia, né in terapia, anche perché era difficile mettere ordine nel calderone delle innumerevoli dottrine mediche e scuole di pensiero: troppo lontane erano le posizioni dei seguaci della teoria umorale, di chi si affidava alle capacità autoguaritrici dell'organismo umano, degli interventisti, di chi propendeva per farmaci di origine animale o vegetale. Un tentativo di applicare il principio sperimentale anche alla medicina fu quello della sua interpretazione iatromeccanica e iatrochimica: entrambe tentavano di applicare ai processi fisiologici leggi e regole proprie dei corpi inorganici.
La prima cercava la spiegazione di tutti i fenomeni biologici in regole di meccanica e di matematica, formule e calcoli numerici. Da ricordare la figura di Santorio Santorio (1561-1636) che condusse approfonditi studi sul metabolismo: grazie a una bilancia di straordinarie dimensioni (era in grado di sorreggere una stanza con tanto di letto e scrivania) calcolava la variazione del peso del corpo dovuta non solo alle normali attività di vita, ma anche alla perdita dei materiali eliminati attraverso cute e polmoni. Introdusse anche l'uso di strumenti che aiutassero il medico nella formulazione della diagnosi quali il pulsimetro (o pulsilogio) che misurava il ritmo e la frequenza del polso, ed il termometro ad aria.
La seconda interpretava la malattia come un'alterazione chimica, uno squilibrio tra acidi e basi, sconfinando talvolta nel campo dell'alchimia. Francesco de la Boe (1614-1672), meglio conosciuto come Sylvius, ne fu il fondatore. Egli vedeva nella fermentazione la chiave di volta di tutti i processi fisiologici. Tra i personaggi di spicco di questa scuola va inoltre ricordato Giovanni Battista Van Helmont che teorizzò la presenza di tre tipi di entità nel corpo umano: gli archei, ovvero i principi spirituali che danno la vita ai vari organi; il gas, termine coniato dallo stesso scienziato belga, che rappresentava la materia aeriforme derivante dai processi fermentativi che si svolgono nell'organismo; il blas, cioè il movimento che accompagna ogni trasformazione di energia. La malattia era causata dal cattivo funzionamento degli archei e si manifestava con anomale fermentazioni.
Una ventata di novità arrivò grazie a personaggi come Marcello Malpighi (1628-1694) che, utilizzando i primi rudimentali microscopi, poté compiere indagini anatomiche piuttosto accurate osservando la struttura cellulare e scoprendo tra l'altro la prova della comunicazione tra vene ed arterie a livello degli alveoli polmonari. Grazie agli studi condotti sugli insetti contribuì poi alla demolizione della dottrina della generazione spontanea, un vero e proprio dogma proveniente dal pensiero aristotelico: la loro struttura appariva infatti troppo complessa e perfetta nel suo funzionamento perché derivassero semplicemente dalla putrefazione di sostanze organiche come si era sempre pensato.
Da ricordare infine la nascita del concetto della natura vivente del contagio: Giovan Cosimo Bonomo (1666-1696), ad esempio, individuò la vera eziologia della scabbia con la scoperta del ruolo dell'acaro nella malattia, anche se la medicina ufficiale ignorò i suoi studi fino quasi alla metà del sec. XIX.

Il sec. XVIII

In questo secolo la scienza medica fu caratterizzata dall'affermazione delle dottrine dei "sistemi", cioè una serie di principi fisiologici, patologici e terapeutici tenuti insieme da una solida base filosofica che continuava a rivestire una certa importanza nel tentativo di spiegare alcuni fenomeni naturali di non immediata comprensione. Nonostante le numerose proposte portate avanti da alcuni autori che di volta in volta sembravano fornire chiavi di lettura esatte e definitive su svariati argomenti, limitati furono i riflessi pratici in campo medico-chirurgico: il ruolo trainante spettava infatti ancora alle teorie filosofiche come quelle di Leibniz e Kant.
I principali sistemi furono quelli elaborati da Friederich Hoffmann (1660-1879) e da Georg Ernst Stahl (1660-1734). Hoffmann teorizzò un sistema medico che poggiava su basi essenzialmente meccaniche: l'intero organismo era composto da fibre che si contraevano e rilasciavano a seconda di un fluido regolatore contenuto nel cervello. Le malattie erano dovute alla modificazione del tono normale e si manifestavano con una quantità eccessiva di sangue a livello dello stomaco o dell'intestino, organi sui quali venivano così concentrate le maggiori attenzioni terapeutiche.
Stahl sottolineava invece l'importanza dell'anima che ordinava ed equilibrava ogni processo fisiologico; la morte dell'anima portava alla putrefazione del corpo.
Altre teorie ebbero un discreto seguito in questo secolo: William Cullen (1710-1790) sosteneva che l'origine della vita fosse da ricercare nel sistema nervoso il cui equilibrio corrispondeva allo stato di salute.
Secondo John Brown (1879-1788) la vita era uno stato mantenuto da continui stimoli che agivano sulla eccitabilità degli organi. Ogni altro sintomo era da tralasciare, tanto che egli vedeva l'unica via di terapia in sostanze stimolanti.
La concezione del Vitalismo della scuola di Montpellier (De Bordeu, Barthez) propugnava invece l'esistenza di una via intermedia tra materia ed anima: ogni singolo organo aveva in sé una forza vitale. Franz Anton Mesmer (1734-1815) era convinto che l'energia guaritrice proveniva dallo stesso organismo umano (teoria del magnetismo animale). Celebri sono i suoi studi sull'ipnotismo o sonnambulismo artificiale
In conclusione i reali progressi in questo periodo furono davvero pochi e si possono elencare brevemente: Edward Jenner (1749-1823) studiò il vaiolo ed osservò che le persone infettate una volta dalla forma vaccina non contraevano più quella umana; decise quindi di produrre artificialmente la prima infezione come misura profilattica ottenendo così l'immunizzazione da una delle patologie in quel tempo più pericolose.
Paolo Mascagni (1755-1815) scoprì il sistema linfatico.
Leopold Auenbrugger (1722-1809) introdusse il metodo della percussione per individuare le alterazioni del polmone. Da ricordare infine, anche se in campo non prettamente medico, gli studi di Carlo Linneo (1707-1778) che concepì il metodo binomiale (genere e specie) nella classificazione di animali e piante.

Il sec. XIX - Progressi

Questo periodo è caratterizzato da importanti scoperte scientifiche e tecniche. La medicina fu condizionata in modo senza dubbio positivo dalle acquisizioni di altre scienze quali la chimica, la fisica e la matematica. Decisivo fu inoltre il sempre maggiore perfezionamento degli strumenti di ingrandimento ottico grazie anche agli studi del modenese Giovanni Battista Amici (1786-1863).
Grandi progressi si ottennero nel campo dell'elettrologia in seguito alla diatriba sugli studi di Luigi Galvani (1879-1798) ed Alessandro Volta (1745-1827). Il primo per mezzo di un arco bimetallico faceva contrarre le zampe di una rana stabilendo un circuito con il sistema di innervazione concludendo così che il movimento era prodotto dall'elettricità dei muscoli; il secondo sosteneva che era l'arco stesso, costituito da due metalli differenti, a fornire l'elettricità.
Anche la statistica fece il suo ingresso sulla scena della medicina: si iniziava a capire l'importanza di raccogliere, esaminare e classificare dati e informazioni riguardo salute e malattia per poter disporre di sempre più elementi al fine di studiare e sconfiggere le diverse patologie. Certamente all'inizio i metodi usati non erano perfetti e completamente attendibili, ma grossi passi in avanti furono fatti grazie all'opera dell'inglese William Farr (1807-1883) e di Melchiorre Gioia (1767-1829)
Pietra miliare del progresso in medicina fu poi la teoria cellulare portata avanti da Mathias Jacob Schleiden (1804-1881) e da Theodor Schwann (1879-1882) che scoprì la cellula nucleata del tessuto animale rendendola di pubblico dominio con le sue osservazioni nel 1879. Poco più tardi Robert Remak (1815-1885) formulò la teoria della proliferazione cellulare.
Da questo momento in poi la medicina iniziò a concentrare i suoi sforzi sull'osservazione microscopica applicando le nuove scoperte al campo della fisiologia e della patologia; Rudolf Virchow, considerato il primo patologo moderno, fu la figura di maggior spicco in questo settore della ricerca. Louis Pasteur (1822-1895) con i suoi studi abbatté definitivamente le teorie della germinazione spontanea dimostrando che i microrganismi erano la causa delle infezioni e non un loro prodotto. Tra gli altri furono isolati il pneumococco, il bacillo della tubercolosi, l'agente responsabile della difterite, il vibrione del colera, il gonococco, l'agente causale della lebbra, del tetano, della peste, della sifilide...insomma, prima del 1900 la lista degli agenti infettivi era praticamente completa.
Anche la fisiologia conobbe un rapido sviluppo: si chiarì la struttura del sangue, il ritmo e l'origine del battito cardiaco, i meccanismi della respirazione, della digestione, del sistema nervoso.
Più lento fu invece lo sviluppo della farmacologia anche se è da ricordare il brevetto da parte dalla Bayer dell'aspirina, messa in commercio nel 1899.
Verso la fine del secolo vennero poi introdotti strumenti importantissimi come il laringoscopio, l'esofagoscopio, l'otoscopio, l'oftalmoscopio, il gastroscopio, il cistoscopio. Da non dimenticare lo sfignomanometro proposto nel 1896 da Scipione Riva Rocci (1863-1937).
Rivoluzionari furono infine gli studi di Wilhelm Conrad Roentgen (1845-1923) che nel 1895 scoprì i raggi X.

Il sec. XIX - Gli ospedali e lo sviluppo della chirurgia

In questo clima di fermento scientifico anche i vecchi asili e tutti gli altri luoghi di cura iniziarono a trasformarsi in strutture con servizi di assistenza sempre migliori grazie anche all'ingresso dei laboratori per le indagini chimiche e delle sale per le operazioni chirurgiche. I nuovi ospedali, come il Policlinico Umberto I di Roma progettato da Guido Baccelli (1832-1916), venivano progettati poi secondo le regole dell'igiene e dell'ingegneria ospedaliera calcolando con precisione i rapporti aeroilluminanti necessari per ogni singolo letto.
Si cominciò a distinguere tra sintomatologia, che si occupava degli effetti percepibili della sofferenza degli organi, e semiologia, intesa come studio dei segni, cioè gli indicatori che permettono di giungere alla diagnosi; si iniziarono a contare e misurare i segni clinici: pulsazioni, atti respiratori, temperatura; si esaminava il malato secondo metodiche precise: ordine anatomico (sistema testa-piedi) o fisiologico (apparato per apparato); si affacciava infine anche la diagnostica differenziale.
La figura del chirurgo, fino a questo momento in posizione assolutamente subalterna rispetto a quella ritenuta più nobile del medico, iniziò a conquistare una maggiore dignità. Mentre prima il dolore aveva sempre limitato la sua azione, tanto che il paziente doveva essere immobilizzato da aiutanti robusti, poiché l'uso dell'alcol, dell'oppio, della radice di mandragora, delle spongie soporifere non erano sufficienti a diminuire adeguatamente la sua sensibilità, in questo periodo, grazie ad alcune scoperte della chimica, vennero introdotte sostanze gassose come i cosiddetti gas esilaranti, l'etere, il cloroformio, che aprirono nuove frontiere al progresso della chirurgia. In seguito si cercò di studiare nuove vie di somministrazione (via rettale) e nuove sostanze (morfina, cocaina...), ma l'uso dei gas dominò la scena fino al nostro secolo quando si arrivò all'anestesia endovenosa. Un grande aiuto allo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche fu dato da tutte le sanguinose guerre di questa epoca: moti rivoluzionari, guerra di Crimea, guerra di secessione americana, guerre coloniali...: i chirurghi si impratichirono molto nelle amputazioni, nelle resezioni articolari, nell'arresto di emorragie e nella legatura dei vasi.
Il salto di qualità decisivo per la chirurgia fu infine dato dalla conquista dell'asepsi e dell'antisepsi. Nella seconda metà del secolo, pur tra pareri discordanti, qualcuno iniziò a notare prognosi postoperatorie migliori se prima dell'intervento si fosse utilizzata acqua di cloro per lavarsi le mani; nel 1878 si introdusse la bollitura degli strumenti e nel 1891 la sterilizzazione a secco; sempre in quegli anni apparvero sui campi operatori i primi guanti di gomma a coprire le mani dei chirurghi e a cavallo dei due secoli la preparazione della cute da incidere veniva effettuata con pennellature di tintura di iodio. Grazie a tutti questi passi in avanti si superò il rischio delle febbri e delle infezioni postoperatorie.

Il sec. XX

Nel primo novecento furono oggetto di studi e ricerche soprattutto la batteriologia, la parassitologia e la sierologia: si iniziavano a capire le vere cause di molte malattie e le modalità con cui si trasmettevano.
Grande fu anche lo sviluppo della radiologia; purtroppo si ignorava ancora la pericolosità delle radiazioni ionizzanti e di conseguenza vi si faceva ricorso indiscriminatamente e senza protezioni.
Laparoscopie, pleuroscopie, biopsie muscolari e spirometrie erano prassi normale negli ospedali già nei primi dieci anni del secolo.
Negli anni venti si affermò l'elettroencefalografia, nei trenta il microscopio elettronico, nei quaranta la diagnostica ecografica, la registrazione continua degli ECG secondo Norman Jeffers Holter (1914-1983); dal punto di vista farmacologico si scoprirono i primi antibiotici, alcuni antistaminici e anticoagulanti; negli anni cinquanta James Watson e Francis Crick descrissero la struttura del DNA; apparvero inoltre diuretici, cortisone, psicofarmaci, ipoglicemizzanti ed antiparkinsoniani. 
La chirurgia, resa sempre più sicura ed affidabile grazie anche ai nuovi farmaci, arricchiva sempre di più il suo strumentario (pinze emostatiche, elettrocauteri, fili assorbibili, lampade scialitiche, placche, viti e chiodi di acciaio...) iniziando così a suddividersi in vari rami: tra le prime scuole specialistiche si annoverano l'oculistica, l'urologia, la traumatologia, l'otorinolaringoiatria.
Sarebbe infine arduo descrivere in modo organico e compiuto anche solo i principali progressi degli ultimi cinquanta anni, visto il susseguirsi di studi, ricerche e scoperte in ogni settore della medicina, tali da rendere superate ed obsolete le nuove acquisizioni anche a distanza di pochi anni.

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Storia dell'ottica

di Mariano Calleri

Dalle lenti ustorie ai laser

Indice generale

Storia della microscopia ottica

Indice

Storia della matematica

da Wikipedia

L'area di studio nota come storia della matematica riguarda le indagini sull'origine e l'evoluzione delle scoperte matematiche e sui metodi e le notazioni matematiche del passato.
La parola "matematica" deriva dalla parola greca màthema che significa "conoscenza o apprendimento"; mathematikós significava invece "appassionato del conoscere". Oggi il termine si riferisce ad un corpo di conoscenze tendenzialmente ben definito che riguarda lo studio dei problemi concernenti quantità, forme spaziali, processi evolutivi e strutture formali, studio che si basa su definizioni precise e di procedimenti deduttivi rigorosi.

L'attività svolta dai matematici moderni è molto diversa da quella dei primi matematici delle civiltà antiche.
Inizialmente la matematica si basò sul concetto di numero, concetto sviluppatosi nella preistoria.
La matematica è stata una tra le prime discipline a svilupparsi. Evidenze archeologiche mostrano la conoscenza rudimentale di alcune nozioni matematiche molto prima dell'invenzione della scrittura.

I testi matematici più antichi provengono dall'antico Egitto, nel periodo del Regno di mezzo, (2000-1800 a.C. ca., papiro di Mosca), dalla Mesopotamia, (1900-1700 a.C. ca, tavoletta Plimpton 322) e dall'India, (800 - 600 a.C. ca, Sulba Sutras).
Tutti questi testi toccano il cosiddetto teorema di Pitagora, che sembra essere il più antico e diffuso risultato matematico che va oltre l'aritmetica e la geometria elementari.

Un aspetto importante della storia della matematica consiste nel fatto che essa si è sviluppata indipendentemente in culture completamente differenti che arrivarono agli stessi risultati. Spesso un contatto o una reciproca influenza tra popoli differenti ha portato all'introduzione di nuove idee e a un avanzamento delle conoscenze matematiche.
A volte si è vista invece una decadenza improvvisa della cultura matematica presso alcuni popoli che ne ha rallentato lo sviluppo.
La matematica moderna ha invece potuto avvalersi dei contributi di persone di tutti i paesi.

Indice generale

Storia della fisica

da Wikipedia

La storia della fisica abbraccia certamente un lungo arco temporale, ma non vi è accordo sulla data di nascita della fisica. Alcuni studiosi hanno sostenuto persino che il suo inizio documentato avrebbe avuto luogo nella Civiltà della valle dell'Indo, quando vennero utilizzate conchiglie per costruire strumenti per l'osservazione del cielo.

Il progresso della scienza che oggi chiamiamo Fisica ha portato a enormi sviluppi non solo in campo scientifico e filosofico, ma anche - per mezzo della tecnologia - a grandi trasformazioni della società.

La rivoluzione scientifica nel XVII secolo ha dato inizio alla cosiddetta fisica classica, mentre il XX secolo ha segnato l'inizio della fisica moderna.
Oggi la scienza fisica continua la sua evoluzione, e ancora numerose questioni devono essere comprese e studiate, come ad esempio la natura del vuoto e delle particelle subatomiche.

Antichità e Medioevo

Anche se gli uomini si sono sempre posti domande sui fenomeni naturali, non sembra che si possano includere nel campo che oggi chiamiamo fisica né le speculazioni condotte nell'ambito del pensiero religioso né le semplici conoscenze empiriche.
La prima scienza della natura fondata su osservazioni sistematiche e l'uso di strumenti matematici è stata certamente l'astronomia, sviluppata in epoche molto antiche da varie civiltà.
La storia dell'astronomia, per varie ragioni, non è tuttavia generalmente inclusa nella storia della fisica ed è trattata alla voce sua propria.
Uno studio matematizzato di fenomeni riproducibili appare nella civiltà greca in epoca ellenistica e porta alla nascita di una serie di discipline che se allora erano concepite come parte delle scienze matematiche, sono state poi incorporate nella fisica. Esse sono:
  • La meccanica, nel cui ambito i principali risultati ottenuti riguardarono lo studio dell'equilibrio e il calcolo del vantaggio meccanico delle macchine semplici. Qualche risultato interessante (ad esempio ad opera di Stratone di Lampsaco) riguardò anche lo studio del moto dei gravi.
  • L'idrostatica, sviluppata soprattutto da Archimede;
  • L'ottica, rivolta soprattutto allo studio dei fenomeni di riflessione e rifrazione; in questo ambito, grazie al teorema di Erone, si ottenne la prima applicazione alla fisica di un principio di minimo.
  • La pneumatica, che è interessante soprattutto per lo sviluppo di una serie di apparecchi, che includevano ad esempio il termoscopio.
Le discipline precedenti si svilupparono nel Medioevo soprattutto grazie a una serie di scienziati del mondo islamico. Particolarmente rilevanti furono i risultati nell'ambito dell'ottica, grazie soprattutto a Ibn Sahl, nella cui opera troviamo la prima enunciazione di quella che viene chiamata legge di Snell della rifrazione, e ad Alhazen.

Meno interessanti, dal nostro punto di vista, sono probabilmente le ricerche svolte nel Medioevo latino in ottica e meccanica, che rimasero per lo più nell'ambito della speculazione filosofica.
Qualche interesse ha tuttavia il superamento delle concezioni aristoteliche sul moto grazie alla teoria dell'impeto, basata sulle idee di Giovanni Filopono.

Dalla scuola galileiana a Newton

Tra la fine del XVI secolo e l'inizio del secolo successivo vi è un salto di qualità nello sviluppo della fisica, rappresentato soprattutto da Galileo Galilei e la sua scuola, tra i cui rappresentanti vanno ricordati almeno Bonaventura Cavalieri e Evangelista Torricelli.

Isaac NewtonLe novità principali sono metodologiche: all'affermazione del metodo sperimentale (che tuttavia, come è sempre più chiaro, non era una novità assoluta) si accompagnano l'uso sistematico della matematica e lo sviluppo di strumenti scientifici: tra questi ultimi nella fase iniziale hanno particolare importanza il cannocchiale e il microscopio (detto "occhialino" da Galileo).
Tra i risultati raggiunti i principali riguardarono il principio di inerzia, la legge del moto dei gravi, la scoperta della pressione atmosferica, il recupero dell'antica idrostatica, le scoperte astronomiche.
Nello stesso periodo progrediscono anche gli studi di ottica: Thomas Harriot e Willebrord Snell riscoprono (o recuperano) la legge della rifrazione che era stata nota agli scienziati islamici e Francesco Maria Grimaldi scopre la diffrazione della luce.
Nella seconda metà del XVII secolo il baricentro delle ricerche scientifiche si sposta dall'Italia all'Europa settentrionale: soprattutto, in questa prima fase, nei Paesi Bassi e in Inghilterra.
Il centro dell'interesse continua ad essere costituito da meccanica e ottica.
Grazie a scienziati come Christiaan Huygens e Robert Hooke gli studi sui fenomeni di interferenza e diffrazione fanno nascere la teoria ondulatoria della luce, si chiarisce il ruolo dell'accelerazione vettoriale in dinamica e si comincia ad abbozzare una teoria della gravitazione.
Infine Isaac Newton, nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica e nell'Opticks, realizza una nuova sintesi della fisica che avrà un enorme successo.
La prima opera costituisce un progresso essenziale rispetto a tutta la meccanica precedente, fornendo un quadro unitario nel quale è possibile dedurre dai famosi tre principi della dinamica e dalla legge di gravitazione universale tutte le caratteristiche note dei moti planetari (e dei satelliti). Più discutibile è il ruolo dell'opera di ottica, che se da una parte riesce a spiegare in modo unitario molti fenomeni, dall'altra bloccherà per qualche tempo lo sviluppo dell'ottica ondulatoria, che Newton aveva rifiutato.

XVIII e XIX secolo

In questi due secoli viene formandosi l'edificio ancora chiamato "fisica classica": alla meccanica e all'ottica, che progrediscono in modo sostanziale, si affiancano settori completamente o essenzialmente nuovi: l'acustica, la termodinamica e lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici. Alla meccanica newtoniana, basata essenzialmente su metodi geometrici, venne sostituita la meccanica analitica, costruita con strumenti matematici più potenti e capace di spiegare i fenomeni della meccanica celeste anche al di fuori delle semplificazioni operate da Newton.
Tra i fondatori dei nuovi metodi vanno citati almeno Joseph-Louis Lagrange e Pierre Simon Laplace.
Lo studio dei fenomeni ottici riaprì lo studio dell'ottica ondulatoria, che ricevette una formulazione coerente ed unitaria grazie a scienziati come Thomas Young e Augustin-Jean Fresnel.
Il primo passo verso lo sviluppo della termodinamica può forse essere considerato la dimostrazione, dovuta Benjamin Thompson nel 1798, che è possibile convertire lavoro meccanico in calore.
La termodinamica si sviluppò poi nel corso del XIX secolo.
Tra i suoi fondatori ricordiamo almeno Jean Baptiste Joseph Fourier, Sadi Carnot, Joule e Lord Kelvin.

Gli studi sui fenomeni elettrici e magnetici rappresentarono a lungo un settore marginale della fisica, che si occupava di spiegare le proprietà delle calamite e l'attrazione tra oggetti elettrizzati per strofinio, o di trovare il modo di provocare piccole scosse elettriche dimostrative. L'ingresso dei fenomeni elettrici tra i settori di rilievo della fisica avvenne nel 1800, quando l'invenzione della pila da parte di Alessandro Volta permise la prima produzione di una corrente elettrica.

Nel 1821, il fisico e chimico inglese Michael Faraday integrò gli studi sul magnetismo con quelli sull'elettricità.
Questo fu fatto dimostrando che un magnete in movimento induceva una corrente elettrica in un conduttore.
Faraday formulò anche una concezione fisica dei campi elettromagnetici.
James Clerk Maxwell costruì sopra questa concezione, nel 1864, una serie di 20 equazioni interconnesse che spiegavano le interazioni tra campi elettrici e magnetici. Queste 20 equazioni furono poi ridotte, usando il calcolo vettoriale, a una serie di quattro equazioni da Oliver Heaviside.

Oltre agli altri fenomeni elettromagnetici, le equazioni di Maxwell possono essere usate anche per descrivere la luce. La conferma di questa osservazione giunse nel 1888 con la scoperta da parte di Heinrich Hertz delle onde che furono dette hertziane e nel 1895 quando Wilhelm Roentgen rintracciò i raggi X, che si rivelarono poi una radiazione elettromagnetica ad alta frequenza.

La nascita della microfisica

Alla fine dell'Ottocento, grazie a Ludwig Boltzmann, nacque la meccanica statistica.
La radioattività fu scoperta nel 1896 da Henri Becquerel, e successivamente studiata da Marie Curie, Pierre Curie, e altri. Da qui nacque il campo della fisica nucleare.
Nel 1897, Joseph J. Thomson scoprì l'elettrone, la particella elementare portatrice della corrente elettrica nei circuiti.
Nel 1904, egli propose il primo modello di atomo, conosciuto come modello plum pudding (budino di prugne). (L'esistenza dell'atomo era stata proposta già nel 1808 da John Dalton.).

Queste scoperte rivelarono che l'assunzione da parte di molti fisici che l'atomo fosse l'unità base della materia aveva dei difetti, e incoraggiò ulteriori studi sulla struttura degli atomi.
Nel 1911, Ernest Rutherford dedusse di suoi esperimenti l'esistenza di un nucleo atomico compatto, con carica positiva.

Il XX secolo

La capacità di descrivere la luce in termini elettromagnetici fornì un trampolino di lancio per Albert Einstein per pubblicare la sua teoria della relatività ristretta nel 1905.
Questa teoria combina la meccanica classica con le equazioni di Maxwell.
La teoria della relatività ristretta unifica lo spazio e il tempo in un'unica entità, lo spaziotempo.
La relatività prescrive una trasformazione differente fra sistemi di riferimento inerziali rispetto alla meccanica classica; questo richiese lo sviluppo della meccanica relativistica per rimpiazzare quella classica.
Nel regime delle velocità molto basse (rispetto a quella della luce), le due teorie portano agli stessi risultati.
Einstein lavorò ulteriormente sulla teoria ristretta includendo la gravità nei suoi calcoli, e pubblicò la sua teoria della relatività generale nel 1915.

Una parte della teoria della relatività generale consiste nell'Equazione di campo di Einstein.
Questa descrive la curvatura dello spaziotempo, in funzione della densità di materia, dell'energia e della pressione, rappresentati tramite il tensore stress-energia, e forma la base della relatività generale.
Ulteriori ricerche dell'equazione di campo di Einstein produssero risultati che predicevano il Big Bang, i buchi neri, e l'espansione dell'universo.
Einstein credeva in un universo statico e provò (fallendo) a ritoccare le sue equazioni in questa direzione.
Comunque, dal 1929 le osservazioni astronomiche di Edwin Hubble suggerirono che l'universo fosse in espansione.

I Neutroni, il costituente nucleare neutro, furono scoperti nel 1932 da James Chadwick.
L'equivalenza di massa ed energia (Einstein, 1905) fu spettacolarmente dimostrata durante la seconda guerra mondiale, come ricerca sulla fisica nucleare condotta da entrambi gli schieramenti, con lo scopo di creare una bomba nucleare.
Il tentativo tedesco, condotto da Heisenberg, non ebbe successo, ma gli Alleati, col Progetto Manhattan raggiunsero l'obbiettivo.
In America, una squadra capeggiata da Enrico Fermi realizzò la prima reazione a catena nucleare nel 1942, e nel 1945 la prima bomba nucleare della storia fu detonata nel trinity test, nel poligono di Alamogordo, Nuovo Messico.

Nel 1900, Max Planck la sua spiegazione della radiazione del corpo nero.
Questa equazione suppone che i radiatori sono quantizzati in natura, con questo studio ebbe inizio la meccanica quantistica.
Cominciando nel 1900, Planck, Einstein, Niels Bohr, e altri svilupparono teorie quantistiche per spiegare vari risultati sperimentali anomali introducendo livelli energetici distinti.
Nel 1925, Werner Karl Heisenberg e nel 1926, Erwin Schrödinger e Paul Dirac formularono la meccanica quantistica, che spiegava le precedenti teorie quantistiche euristiche.
In meccanica quantistica, i risultati delle misurazioni fisiche sono inerentemente probabilistici; la teoria descrive il calcolo di queste probabilità.
Descrive con successo il comportamento della materia in una scala di distanze molto piccola.
Durante gli anni venti Erwin Schrödinger, Werner Karl Heisenberg, e Max Born riuscirono a formulare un quadro coerente del comportamento chimico della materia, una teoria completa della struttura completa dell'atomo, come sottoprodotto della teoria dei quanti.
La Teoria quantistica dei campi fu formulata in modo da estendere la meccanica quantistica ad essere coerente con la relatività ristretta.
Fu inventata verso la fine degli anni quaranta grazie al lavoro di Richard Feynman, Julian Schwinger, Sin-Itiro Tomonaga, e Freeman Dyson.
Essi formularono la teoria dell'elettrodinamica quantistica, che descrive l'interazione elettromagnetica, e spiega con successo il Lamb shift.
La teoria di campo quantistica fornì l'ossatura per la moderna fisica delle particelle, che studia le forze fondamentali e le particelle elementari.

Chen Ning Yang e Tsung-Dao Lee, negli anni cinquanta, scoprirono una inaspettata asimmetria nel decadimento di una particella subatomica. Nel 1954, Yang e Robert Mills svilupparono poi una classe di teorie di scala che fornirono l'ossatura per comprendere le forze nucleari. La teoria per la forza nucleare forte fu proposta per primo da Murray Gell-Mann.
La forza elettrodebole, l'unificazione della forza nucleare debole con l'elettromagnetismo, fu proposta da Sheldon Lee Glashow, Abdus Salam e Steven Weinberg.
Questo portò al cosiddetto Modello Standard della fisica particellare dgli anni settanta, che descrive con successo tutte le particelle elementari osservate fino a quel momento.
Nel 1964, fu scoperta da James Watson Cronin and Val Fitch la simmetria CP.

La meccanica quantistica fornisce anche gli strumenti teorici per la fisica della materia condensata, la cui branca più ampia è la fisica dello stato solido. Essa studia il comportamento fisico dei solidi e dei liquidi, inclusi fenomeni come strutture cristalline, semiconduttività, e superconduttività.
Fra i pionieri della fisica della materia condensata c'è Felix Bloch, che creò una descrizione in meccanica quantistica del comportamento degli elettroni in strutture cristalline nel 1928.
Il transistor fu sviluppato dai fisici John Bardeen, Walter Houser Brattain e William Bradford Shockley nel 1947 presso i Bell Telephone Laboratories.

I due temi del XX secolo, relatività generale e meccanica quantistica, sembrano incompatibili. La relatività generale descrive l'universo nella scala di misura di pianeti e sistemi solari mentre la meccanica quantistica opera su scale subatomiche.
Questa competizione è oggi attaccata dalla teoria delle stringhe, che considera lo spaziotempo composto, non di punti, ma di oggetti monodimensionali, le stringhe appunto.
Le stringhe hanno proprietà simili alle comuni stringhe che conosciamo (es. tensione e vibrazione). Le teorie sono promettenti, ma non hanno ancora effetti rilevabili.
La ricerca della verifica sperimentale della teoria delle stringhe è tuttora in corso.

Le Nazioni Unite hanno dichiarato l'anno 2005, il centenario dell'annus mirabilis di Einstein, Anno Internazionale della Fisica.

Storia della chimica

da Wikipedia

« Forse venticinque secoli fa, sulle rive del mare divino, dove il canto degli aedi si era appena spento, qualche filosofo insegnava già che la mutevole materia è fatta di granelli indistruttibili in continuo movimento, atomi che il caso e il fato avrebbero raggruppato nel corso dei secoli secondo le forme e i corpi che ci sono familiari. »
(Jean Perrin, Les atomes, 1912)

Le prime teorie che tentavano di spiegare il comportamento della materia risalgono ai filosofi greci (si pensi all'atomismo di Democrito), per i quali la scienza e la religione erano ben distinte.
In seguito gli influssi arabi ed egiziani sulla cultura greca portarono alla nascita dell'alchimia, un'antica pratica protoscientifica che combinava elementi di chimica, fisica, astrologia, arte, semiotica, metallurgia, medicina e religione.

La storia della chimica intesa come scienza sperimentale ha inizio solo nel XVII secolo quando si cominciò ad analizzare con metodo scientifico la materia e le sue trasformazioni, allontanandosi dalle vaghe e misteriose teorie e legate al misticismo dell'alchimia.



Le origini

Nel XVI e XVII secolo moltissimi concetti che oggi daremmo per scontati, quali pressione, temperatura o fasi della materia, non erano affatto compresi, tantomeno quelli di atomo o molecola.
Il processo di transizione tra alchimia e chimica avvenne quindi piuttosto gradualmente.
Dopo che Evangelista Torricelli scoprì il modo di misurare la pressione atmosferica e formulò il concetto di vuoto si diede il via a numerosi esperimenti per lo studio dei gas.

L'inglese Robert Boyle fu molto attivo in questo campo, e fu tra i primi ad applicare il metodo scientifico allo studio della materia e delle sue trasformazioni.
La sua opera The Sceptical Chymist ("Il Chimico Scettico") (1661) è considerata il primo testo in cui la chimica è considerata una scienza; in esso Boyle descrive i suoi esperimenti con i gas, e delinea alcune definizioni (ancora imprecise) di composto chimico.

La nascita della chimica

Nonostante l'opera di numerosi emeriti studiosi, ancora alla fine del XVIII secolo si consideravano validi alcuni concetti del tutto errati, come ad esempio la teoria del flogisto.
Nel 1700 emerse la necessità di una teoria che riunisse le varie scoperte nel campo dei gas.
L'uomo che fece questo lavoro fu Antoine Lavoisier, il quale demolì la teoria del flogisto con la sua legge di conservazione della massa nel 1789.
Egli è considerato il padre della chimica moderna: fra i suoi meriti vi sono, oltre alla citata legge di conservazione, il metodo di lavoro (con attenzione alla purezza dei reagenti, e l'uso della bilancia di precisione), l'opera di nomenclatura di composti binari, la corretta determinazione della composizione dell'aria, l'analisi sulla composizione di grassi, olii e zuccheri, scoprendo la costante presenza di idrogeno, ossigeno e carbonio (i "mattoncini" di base di tutte le sostanze organiche).
Inoltre, fino a quel momento, la chimica non possedeva uno status accademico autonomo, ma faceva parte ancora del piano di studi della medicina.

Altre notizie

Chimica combinatoria

Spesso il ricercatore si imbatte in un composto che dimostra una certa attività biologica, che però non è sufficiente per garantire il successo clinico (e commerciale) del composto.
A questo punto inizia un processo di screening "quasi casuale": vengono preparati e testati tutti i possibili composti che mantengono una analogia strutturale per il nucleo fondamentale, ma ne differiscono per i sostituenti collegati.

Chimica computazionale

La chimica computazionale è la branca della chimica teorica che si occupa dello sviluppo di modelli matematici, basati sia sulla meccanica classica che sulla meccanica quantistica, in grado di simulare sistemi chimici, con lo scopo di calcolarne le grandezze fisiche caratteristiche e prevederne le proprietà chimiche.

Chimica nucleare

La chimica nucleare è un settore della chimica che tratta le reazioni che cambiano la natura del nucleo.
Il fenomeno chimico-fisico studiato dalla chimica nucleare è la radioattività e la grandezza fisica corrispondente nel Sistema Internazionale è l'attività.

Caos chimico

Per caos chimico si intende quell'insieme di reazioni chimiche dipendenti da fattori aleatori con apparenza caotica.
Il resoconto di reazioni oscillanti fu pubblicato per la prima volta da Gustav Theodor Fechner nel 1828.
Nel 1833 John Herschel, noto astronomo e inventore della cianotipia, scoprì una serie di reazioni periodiche legate al dissolvimento del ferro in acido nitrico a diversi valori di concentrazione.
Le reazioni oscillanti si incontrano spesso in elettrochimica, come riportato da Christian Friedrich Schönbein nel 1842 e James Prescott Joule nel 1844.

Seguirono sul piano sperimentale descrizioni di reazioni apparentemente caotiche, e la loro interpretazione sulla base di processi autocatalitici, ma solo con la reazione di Belousov-Zhabotinsky l'auto-organizzazione nel tempo e nello spazio di particolari sistemi reagenti divenne un tema accettato di ricerca.

Il chimico sovietico Boris Belousov scoprì la reazione che porta il suo nome mentre cercava di riprodurre in provetta un insieme di reazioni che avesse qualche analogia con il ciclo di Krebs.
La storia dettagliata dei tentativi di Belousov, sempre frustrati, di pubblicare i suoi risultati (dal 1951 al 1957) entrerà a far parte della leggenda (negativa) della chimica; maggiore fortuna ebbe il biofisico Anatol Zhabotinsky che rese nota la reazione nel 1964.
Nel frattempo (1952) Alan Turing aveva pubblicato un articolo seminale dal titolo estremamente significativo: La base chimica della morfogenesi, in cui discuteva in dettaglio gli effetti di meccanismi autocatalitici; inoltre, su un piano più generale, diversi gruppi di ricercatori, fra cui spiccava quello diretto da Ilya Prigogine, avevano fatto progredire la termodinamica dei processi irreversibili (gli unici esistenti nella realtà fisica).
Nel 1967 Prigogine e Nicolis proposero il concetto di struttura dissipativa, e avendo dimostrato la relazione fra organizzazione e dissipazione ne sottolinearono la possibile rilevanza rispetto ai "primi passi biogenetici".

Attualmente la chimica che studia l'origine dell'ordine a partire dal caos molecolare è un campo attivissimo di ricerca.
Nel 1990 i principali temi trattati sulle dinamiche non lineari riguardavano: propagazione di onde e strutture spaziali; oscillazioni in sistemi eterogenei; oscillazioni biologiche; patterns geochimici; proposta e discussione di sistemi modello.
Questo semplice elenco dimostra la pervasività interdisciplinare delle procedure conoscitive della chimica.

Storia dell'astronomia

a cura di Pio Passalacqua - Gruppo Astrofili Palermo

L'Astronomia, la più antica scienza del mondo, è così vecchia che non sappiamo quando ebbe inizio.
La maggior parte degli uomini d'oggi hanno perlomeno qualche nozione dell'universo nel quale vivono. La Terra è una sfera di quasi 12.800 km di diametro ed è uno dei nove pianeti che girano attorno al Sole.
Cinque pianeti: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, erano noti agli antichi ed altri tre sono stati scoperti nell'era moderna. Giove è il più grande di essi, ed il suo immenso globo potrebbe contenere più di un migliaio di corpi della grandezza della Terra, ma anche Giove è minuscolo, se paragonato al Sole.
Le stelle del cielo sono esse stesse dei soli, molte di esse sono più grandi e più luminose del sole, e ci appaiono smorte e piccole solo a causa della loro lontananza. D'altro canto la luna splende più intensamente di ogni altro corpo celeste, eccezion fatta per il sole.
Ma questa sua importanza è solo relativa; la luna è un corpo celeste del tutto trascurabile e non possiede luce propria. E' di gran lunga l'oggetto più vicino a noi nei cieli ed ha un diametro di solo un quarto di quello della terra.

Tutta la volta celeste sembra ruotare attorno alla terra una volta al giorno. questo moto apparente è causato naturalmente dal fatto che la terra ruota sul suo asse da occidente ad oriente. Di tutti i corpi celesti, la luna è il solo dotato di un vero movimento attorno alla terra.
Noi siamo abituati a considerare questi fatti come postulati, ma all'inizio della storia dell'umanità si credeva che la terra fosse piatta ed immobile. Il sole e la luna erano adorati come dei, e l'apparizione di qualcosa di insolito nei cieli era considerato come un segno della disapprovazione divina.
I caldei, gli egizi ed i cinesi sono generalmente considerati i primi astronomi, ma questo corrisponde solo in parte a verità; è vero che questi antichi popoli dividevano le stelle fisse in gruppi o "costellazioni" e distinguevano anche pianeti, comete ed eclissi, ma non possedevano alcuna vera conoscenza sulla natura dell'universo e nemmeno della terra stessa, sicché è difficile definirli astronomi nel vero senso della parola.
La storia comincia all'incirca nel 3000 a.C., allorché l'anno di 365 giorni fu per la prima volta adottato in Egitto ed in Cina. Questa fu anche approssimativamente l'epoca della costruzione di quella considerevole mole conosciuta come la Grande Piramide di Cheope.
La piramide è ancor oggi una delle maggiori attrazioni turistiche dell'Egitto; Cheope stesso, sovrano rude e deciso, vi investì tanto denaro da rovinare il suo paese, ed anche adesso non sappiamo esattamente perché considerasse la piramide tanto importante. Dal punto di vista astronomico è interessante, poiché il suo passaggio centrale è rivolto verso quello che era allora il polo nord del cielo.
L'asse di rotazione della terra è inclinato di 23 gradi e mezzo, ed è rivolto a nord, verso il polo celeste.
Oggigiorno il polo è contrassegnato approssimativamente da una stella lucente chiamata polare, familiare ad ogni navigante poiché sembra quasi immobile, mentre gli altri corpi celesti le ruotano attorno.
Ai tempi di Cheope, tuttavia, il punto polare si trovava in una posizione diversa, vicino ad una stella assai più debole, Thuban, nella costellazione del Drago.
La causa di questo cambiamento è che la terra "ondeggia" leggermente come una trottola sul punto di cadere, e la traiettoria dell'asse descrive un cerchio nel cielo. L'ondeggiamento è leggerissimo, ma lo spostamento dell'asse è divenuto notevole dacché la piramide è stata costruita, 5000 anni or sono.
L'Egitto è ancor oggi considerato la terra del mistero. E' risaputo che la maggior parte dei misteri dell'antico Egitto furono creati a bella posta dai sacerdoti, che erano i più istruiti della loro razza e che si rendevano conto che il sistema migliore per tenere sotto controllo il popolo era di mantenerlo nell'ignoranza.
Ma anche i sacerdoti avevano dei limiti ben definiti, e benché eccellessero nell'arte di eseguire esatte misurazioni, non riuscirono mai a scoprire che la terra è sferica. Essi credevano che il mondo fosse rettangolare, con l'Egitto in mezzo e deserti e mari tutt'intorno. L'astronomia cinese non era più progredita. Ci sono pervenute annotazioni di comete e di eclissi, ma alcune delle idee di quell'epoca sembrano strane al giorno d'oggi.
L'astronomia nella sua vera forma cominciò con i greci, che non solo eseguirono delle osservazioni, ma tentarono anche di dare a queste delle spiegazioni. Il primo dei grandi filosofi fu Talete di Mileto, nato nel 624 a.C., l'ultimo fu Tolomeo di Alessandria, e con la sua morte, avvenuta attorno o nell'anno 180 d.C., termina il periodo classico della scienza.
Negli otto secoli compresi tra queste due date il pensiero umano fece notevoli progressi. Talete stesso fu forse il primo a comprendere che la terra è un globo, ma sfortunatamente tutti i suoi scritti originali sono andati perduti. I primi argomenti sicuri contro la vecchia teoria della terra piatta sono dati da Aristotele, nato nel 384 a.C. e morto nel 322. Aristotele fu uno degli uomini più geniali del mondo antico, ed il suo pensiero contiene il meglio del pensiero greco.
Come fa notare Aristotele, le stelle paiono cambiare d'altezza sull'orizzonte secondo la latitudine dell'osservatore.
La stella polare sembra rimanere abbastanza alta nel cielo vista dalla Grecia, perché la Grecia è molto a nord dell'equatore terrestre; dall'Egitto la stella polare è più bassa; dalle latitudini meridionali non si può vedere affatto, dato che non sorge mai sopra l'orizzonte.
D'altra parte, Canopo, una stella brillante della parte meridionale del cielo, può essere vista dall'Egitto ma non dalla Grecia. Questo è quanto ci si aspetterebbe secondo la teoria di una terra rotonda, ma non si può spiegare questo comportamento se supponiamo che la terra sia piatta.
Aristotele notò che durante un'eclissi di luna, allorché l'ombra della terra si proietta sulla luna, il margine dell'ombra è curvo, segno che anche la superficie della terra deve essere curva.
Il passo seguente fu compiuto da Eratostene di Cirene, che riuscì a misurare la lunghezza della circonferenza della terra.

Il suo sistema era oltremodo ingegnoso, e risultò notevolmente preciso. Eratostene dirigeva una grande biblioteca scientifica ad Alessandria, in Egitto, e da uno dei libri di cui disponeva apprese che al tempo del solstizio estivo, il "giorno più lungo" nelle latitudini nordiche, il sole si trovava sulla verticale a mezzogiorno, visto dalla città di Siene (la moderna Assuan) presso il Nilo.
Ad Alessandria comunque, il sole si trovava in quel momento spostato di 7 gradi dalla verticale. Un cerchio completo è composto di 360 gradi, e 7 è all'incirca 1/50 di 360, cosicché se la terra era sferica, la sua circonferenza doveva essere 50 volte la distanza da Alessandria a Siene. Eratostene giunse al risultato finale di 39.400 km con uno sbaglio per difetto di soli 600 km.
Se i Greci avessero compiuto un altro passo avanti, e posto il sole al centro del sistema planetario, il progresso dell'astronomia sarebbe stato rapido. Alcuni filosofi si provarono a farlo, ma malauguratamente Aristotele pensava che la terra fosse il centro dell'universo, e l'autorità di Aristotele era talmente indiscussa che pochi osavano metterla in dubbio. Inoltre, il decentramento della terra, avrebbe significato un cambiamento delle leggi "fisiche", poiché la teoria aristotelica delle "cose che prendevano il loro posto naturale" sarebbe stata assai indebolita.
La maggior parte delle nostre conoscenze dell'astronomia greca è dovuta a Claudio Tolomeo che scrisse un famoso libro conosciuto generalmente col suo titolo arabo, l'Almagesto. In esso egli sintetizza le idee dei grandi filosofi che erano vissuti prima di lui, e la teoria che la terra giace al centro dell'universo viene perciò chiamata "tolemaica", benché non sia stato Tolomeo stesso ad esserne il diretto responsabile. Secondo la teoria tolemaica, tutti i corpi celesti ruotano attorno alla terra.
La più vicina a noi è la luna; poi vengono Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno e finalmente le stelle. Tolomeo sosteneva che, dato che il circolo era la forma "perfetta", e che nei cieli non poteva esistere nulla che non fosse perfetto, tutti questi corpi dovevano roteare su percorsi circolari.
Sfortunatamente però i pianeti hanno un loro modo di comportarsi. Tolomeo era un ottimo matematico, e sapeva perfettamente che il moto dei pianeti non poteva essere spiegato sostenendo l'ipotesi di un moto circolare uniforme con la terra nel mezzo. Egli perciò elaborò un sistema complesso secondo il quale ogni pianeta si muoveva in un piccolo cerchio chiamato "epiciclo", il centro del quale ruotava attorno alla terra descrivendo un cerchio perfetto. Via via che sopravvenivano delle irregolarità, si dovevano ideare degli altri epicicli, finché tutto il sistema divenne terribilmente artificioso e complesso.
Ipparco, che era vissuto circa due secoli prima di Tolomeo, aveva redatto un catalogo stellare dettagliato e preciso.
L'originale è andato perduto, ma fortunatamente Tolomeo lo ha riprodotto nel suo Almagesto, sì che tutta l'opera ha potuto giungere sino a noi. Ipparco fu anche l'inventore di una branca assolutamente nuova della matematica, da noi conosciuta sotto il nome di trigonometria.
Quando la potenza della Grecia si dissolse, il progresso dell'astronomia si arrestò di colpo. La grande biblioteca di Alessandria fu saccheggiata ed incendiata nel 640 d.C. per ordine del califfo arabo Omar, e per più di mille anni fu fatto assai poco. Quando l'interesse per i cieli ritornò, ciò avvenne, tramite l'astrologia. Ancora oggi vi è della gente che non conosce la differenza tra astrologia e astronomia. Invero, le due cose sono assolutamente diverse. L'astronomia è una scienza esatta; l'astrologia è un relitto del passato, e nessuna persona intelligente può prenderla sul serio. Il modo migliore per definire l'astrologia è dire che è la superstizione delle stelle. Ogni corpo celeste si pensa debba avere una certa influenza sul carattere e sul destino di ogni essere umano, e nel fare un oroscopo, che è principalmente una carta della posizione dei pianeti all'epoca della nascita del soggetto, un astrologo pretende di poter predire il destino della persona per la quale l'oroscopo è stato fatto. Vi possono essere state delle scusanti per questo genere di cose nel Medioevo, ma non ve n'è nessuna oggi.
Comunque, l'astrologia mediovale ha perlomeno fatto rinascere la vera astronomia. Gli arabi erano all'avanguardia, e ben presto l'interesse dilagò in Europa. I cataloghi delle stelle vennero migliorati, ed i movimenti della luna e dei pianeti furono riesaminati. C'erano perfino degli osservatori; molto diversi dagli osservatori a cupola di oggigiorno, ma nondimeno osservatori.
L'astronomia era ancora paralizzata dalla cieca fiducia nel sistema tolemaico. Finché gli uomini avessero rifiutato di credere che la terra potesse muoversi, nessun vero progresso poteva venir compiuto.
La situazione non veniva migliorata dall'atteggiamento della chiesa, che a quei tempi era onnipotente. Qualsiasi critica ad Aristotele veniva considerata un'eresia. Dato che la fine generalmente riservata agli eretici era di venire arsi sul rogo, era palesemente saggio non esprimersi troppo chiaramente.
I primi segni della lotta che si avvicinava vennero nel 1546, con la pubblicazione del De Revolutionibus Orbium Coelestium (Sulle rivoluzioni dei corpi celesti) di un canonico polacco, Niccolò Copernico.
Copernico era un pensatore chiaro, oltre che un abile matematico e al principio della sua carriera vide tanti punti deboli nel sistema tolemaico che si sentì preso dal desiderio di abbandonarlo.
Sembrava irragionevole pensare che le stelle potessero compiere una rotazione al giorno attorno alla terra. Usando le sue stesse parole: "Perché dovremmo esitare ad attribuire alla terra un moto naturale e corrispondente alla sua forma sferica? E perché non siamo disposti ad ammettere che l'apparenza di una rotazione giornaliera appartiene ai cieli, la sua realtà alla terra? Il rapporto è lo stesso di quello di cui parla l'Enea virgiliano: Noi salpiamo dal porto e la terra e le città si allontanano".
Il successivo passo di Copernico fu ancora più ardito. Egli vide che i movimenti del sole, della luna e dei pianeti non potevano essere spiegati col vecchio sistema, anche ammettendo tutti i cerchi e gli epicicli di Tolomeo, e così ripudiò l'intera teoria. Pose il sole al centro del sistema, e ridusse la posizione della terra a quella di un comunissimo pianeta.
Copernico era abbastanza saggio per essere prudente. Egli sapeva con certezza che sarebbe stato accusato di eresia, e benché il suo libro sia stato completato probabilmente verso il 1530, egli si rifiutò di pubblicarlo fino all'anno della sua morte. Come aveva previsto, la chiesa fu apertamente ostile. Gravi dispute si verificarono per tutto il mezzo secolo che seguì, ed un filosofo, Giordano Bruno,venne arso a Roma perché sosteneva che Copernico aveva ragione.
Tycho Brahe, nato in Danimarca solo alcuni mesi dopo la morte di Copernico, era completamente diverso dal gentile e colto matematico polacco.
Tycho era un fervido credente nell'astrologia, ed un ugualmente fanatico miscredente del sistema copernicano, sicché desta ironia il fatto che la sua opera contribuì molto a provare la verità delle nuove idee. Egli costruì un osservatorio nell'isola di Hven, nello stretto tra la Danimarca e la Svezia, e tra il 1576 e il 1596 eseguì migliaia di osservazioni molto accurate sulla posizione delle stelle e dei pianeti, redigendo alla fine un catalogo che era migliore di quello di Tolomeo.
Naturalmente non era provvisto di telescopi; ma i suoi strumenti di misurazione erano i migliori della sua epoca, e Tycho personalmente era un ottimo osservatore.
Oggigiorno, nulla rimane del suo grande osservatorio di Uraniborg.
Allorché,nel 1601, Tycho morì, egli lasciò le sue osservazioni al suo assistente, un giovane matematico tedesco che si chiamava Giovanni Keplero.
Dopo anni di attenti studi, Keplero si accorse che i movimenti dei pianeti non si potevano spiegare né col moto circolare attorno alla terra, né con quello attorno al sole; il che faceva pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato sia nel sistema di Copernico che in quello di Tolomeo. Finalmente, trovò la risposta. I pianeti ruotavano sì attorno al sole, ma non con percorsi perfettamente circolari.
I loro percorsi o "orbite" erano ellittici.
I cinque pianeti conosciuti ai giorni di Keplero, risultarono avere delle orbite circolari, ma non del tutto.
La piccola differenza dal circolo perfetto era la causa di tutto e le ultime osservazioni di Tycho sopravvenivano proprio al punto giusto come i pezzi mancanti di un mosaico.
L'annoso problema era risolto, benché le autorità ecclesiastiche continuassero ad opporsi alla verità per qualche tempo ancora.
Le tre leggi sul moto planetario di Keplero, l'ultima delle quali fu pubblicata nel 1618, spianarono la strada per le successive ricerche di Sir Isaac Newton.
L'opera di Keplero non fu il solo importante sviluppo della prima parte del XVII secolo.
Nel 1608 un fabbricante di occhiali di Middleburg in Olanda , Hans Lippersheim, scoprì che sistemando due lenti in una certa maniera si potevano ottenere delle immagini ingrandite di oggetti distanti.
Occhiali erano stati usati per qualche tempo; secondo alcune fonti essi furono inventati da Ruggero Bacone; ma nessuno aveva scoperto il principio del telescopio prima che lo facesse, più o meno accidentalmente, Lippersheim.
La notizia della scoperta dilagò in Europa, e giunse alle orecchie di Galileo Galilei, professore di matematica dell'Università di Pisa. Galileo comprese immediatamente che il telescopio poteva essere adoperato in astronomia, e "senza risparmio di spesa e di energie" come egli stesso scrisse, costruì da sé uno strumento.
Era un piccolo oggetto, pietosamente debole se paragonato ad un moderno cannocchiale tascabile, ma fu di aiuto per una completa rivoluzione del pensiero scientifico.
Galileo ottenne le prime immagini telescopiche dei cieli verso la fine del 1609. Improvvisamente l'universo cominciò ad aprirsi davanti ai suoi occhi.
La luna era coperta di pianure buie, alte montagne e giganteschi crateri; Venere, la stella serotina degli antichi, presentava delle fasi sul tipo di quelle della luna, tanto da essere a volte nascente e talvolta quasi piena; talvolta mezza; Giove era servito da 4 lune tutte per sé e la Via Lattea risultò composta da innumerevoli deboli stelle. Galileo aveva sempre creduto nel nuovo sistema dell'Universo, ed il suo lavoro al telescopio lo aveva reso vieppiù sicuro del suo credo.
Inevitabilmente si trovò nei guai con la chiesa. Era duro per le autorità religiose il riconoscere che la terra non era il corpo più importante dell'Universo, e Galileo appariva ai loro occhi come un eretico pericoloso.
Venne arrestato ed imprigionato, dopodiché fu processato e costretto a "maledire, abiurare ed odiare" la falsa teoria che la terra si muoveva attorno al sole. Pochi si lasciarono illudere, e prima della fine del secolo, la teoria tolemaica era abbandonata per sempre. La pubblicazione dei Principia di Isacco Newton, nel 1687, portò ad una vera comprensione di come si muovevano i pianeti.
E' giusto dire che Keplero trovò "come" i pianeti su muovono, Newton scoprì "perché".
Newton costruì anche un telescopio di tipo assolutamente nuovo. Lo strumento di Galileo era un rifrattore, e si serviva di un obiettivo per raccogliere la sua luce. Newton arrivò alla conclusione che i rifrattori non sarebbero stati mai del tutto soddisfacenti, e si diede da fare per ovviare a questa difficoltà. Finalmente decise di eliminare del tutto l'obiettivo, e di raccogliere la luce per mezzo di uno specchio di forma adatta.
Quando Newton eliminò il rifrattore perché non soddisfacente, commise uno dei suoi rari errori. Tuttavia, il "riflettore" newtoniano divenne presto popolare, e tale è rimasto. Gli specchi si costruiscono più facilmente delle lenti, ed anche oggi tutti i maggiori strumenti sono del tipo riflettente.
L'astronomia si evolveva. Fintantoché le osservazioni dovevano venire compiute solo ad occhio nudo, si poteva imparare poco sulla natura dei pianeti e delle stelle; i loro movimenti potevano venire studiati, ma tutto finiva li. Non appena si resero disponibili i telescopi, degli osservatori veri e propri fecero la loro comparsa.
Copenhagen e Leida aprirono la serie; l'osservatorio di Parigi venne completato nel 1671, e quello di Greenwich nel 1675.
Greenwich venne fondata per una ragione particolare. L'Inghilterra è sempre stata una nazione marinara e prima della scoperta di orologi di cui si potesse fidare il solo modo per i marinai di stabilire la loro posizione in mezzo all'oceano, allorché non v'era terra in vista, era di osservare la posizione della luna in mezzo alle stelle.
Questo implicava l'uso di un buon catalogo di stelle ed il migliore che si potesse ottenere, quello di Tycho, non era ancora sufficientemente esatto. Carlo II aveva perciò ordinato che i campi stellari dovevano "venire nuovamente osservati, esaminati, e corretti ad uso dei miei marinai".
Venne scelta una zona nel parco reale di Greenwich, e Sir Cristopher Wren, egli stesso professore di astronomia, progettò la costruzione del primo osservatorio. Il Reverendo John Flamsteed fu nominato astronomo di corte, e in tempo debito il riveduto catalogo delle stelle fu completato.
I telescopi furono costantemente migliorati. Alcuni dei primi strumenti erano davvero curiosi; uno di essi, usato dall'osservatore olandese Christiaan Huygens, era lungo più di 200 piedi, tanto che l'obiettivo dovette venir fissato ad un tronco.
Ma gradatamente le maggiori difficoltà vennero superate e sia rifrattori che riflettori acquistarono in potenza e convenienza.
Anche la matematica astronomica compiva dei grandi passi.
L'ostacolo maggiore era sempre rappresentato dal sistema tolemaico, ma una volta eliminato quello, la strada era spianata. La distanza tra la terra ed il sole venne misurata con sufficiente precisione, e nel 1675 l'astronomo danese Ole Roemer misurò perfino la velocità della luce, che risultò di 300.000 km. al secondo. Roemer fece questo casualmente, osservando i movimenti delle quattro grandi lune di Giove.
Ma benché la conoscenza dei corpi del sistema solare si fosse arricchita al di là di qualsiasi immaginazione, poco si conosceva sulle stelle, che venivano ancora considerate come semplici punti di riferimento.
Il primo serio tentativo per infrangere questa barriera venne compiuto da William Herschel, che viene giustamente definito il "padre dell'astronomia stellare".

Herschel era nato a Hannover nel 1738, undici anni dopo la morte di Newton. Venne in Inghilterra e divenne organista presso la Octagon Chapel di Bath; ma il suo principale interesse era l'astronomia, ed egli costruì telescopi a riflessione che erano i migliori della sua epoca. Il maggiore dei telescopi di Herschel costruito relativamente tardi nella sua carriera, aveva uno specchio di 48 pollici di diametro.
Herschel doveva guadagnarsi di che vivere, e per qualche anno non poté dedicare tutto il suo tempo allo studio dell'astronomia. Poi, nel 1781, fece una scoperta che cambiò completamente il corso della sua vita. Una sera, mentre stava esaminando alcune deboli stelle della costellazione dei Gemelli, incontrò un oggetto che non era certamente una stella. Dapprima lo credette una cometa, ma non appena fu calcolata la sua orbita, non vi fu più alcun dubbio sulla sua natura: non era una cometa, ma un pianeta; il mondo che noi chiamiamo oggi Urano.
La scoperta giunse completamente inaspettata. Esistevano 5 pianeti conosciuti, e questi assieme alla luna ed al sole, davano un totale di 7. Il 7 era il numero magico degli antichi, e si era pensato perciò che il sistema solare fosse completo. Herschel divenne famoso in tutto il mondo; fu nominato astronomo di corte da re Giorgio III, e da allora poté abbandonare completamente la sua carriera musicale.
Herschel si impose un tremendo programma. Egli si propose di esplorare tutti i cieli, per potersi così formare un'idea di come le stelle fossero distribuite. Fino alla fine della sua lunga vita, nel 1822, egli lavorò pazientemente al suo progetto e le sue conclusioni finali si sono dimostrate estremamente accurate.
Naturalmente, Herschel fece numerose scoperte durante le sue esplorazioni celesti. Molte stelle che sembravano semplici, risultarono essere doppie, e c'erano anche ammassi stellari, come pure delle deboli macchie luminose conosciute come "nebulose" dalla parola latina che significa "nuvole".
Herschel era un osservatore oltremodo meticoloso. Egli catalogò tutte le sue scoperte, ed esaminando le carte che pubblicò non possiamo che meravigliarci della mole di lavoro che riuscì a svolgere. Dato che visse in Inghilterra gran parte della sua vita, non ebbe occasione di esaminare le stelle della parte meridionale dell'emisfero australe che non appaiono mai a latitudini nordiche, ed è notevole il fatto che il completamento dei suoi "rastrellamenti stellari" fu compiuto in seguito da suo figlio, sir John Herschel, che si recò appositamente al Capo di Buona Speranza, rimanendovi per parecchi anni.

Nei primi anni del XIX secolo un ottico tedesco, Fraunhofer, cominciò ad eseguire degli esperimenti con dei prismi di vetro. Newton aveva già scoperto che la comune luce "bianca" non è affatto bianca, bensì un miscuglio di tutti i colori dell'arcobaleno. Fraunhofer comprese che questa scoperta poteva divenire importante, ed il suo lavoro portò allo sviluppo di un nuovo strumento, lo spettroscopio astronomico.
Esattamente come un telescopio raccoglie la luce, così uno spettroscopio la scompone. Con l'analisi degli "spettri" ottenuti, è possibile riuscire a sapere molte cose sullo stato della materia che emette la luce. Per esempio, lo spettro del sole rivela due righe scure che possono essere causate solo dall'elemento sodio, cosicché abbiamo la prova dell'esistenza del sodio sul sole.
Il telescopio senza lo spettroscopio sarebbe di scarsa utilità all'astronomo di professione di oggigiorno; è possibile ora rintracciare degli elementi noti in stelle remote, e perfino in altri sistemi stellari, sperduti nelle immensità dello spazio.

Nel 1838, Friedrich Wilhelm Bessel, direttore dell'osservatorio di Konigsberg, ritornò al problema della distanza delle stelle. Nello studiare i movimenti apparenti di 61 Cygni, un pallido oggetto nella costellazione del Cigno, poté dimostrare che giaceva ad una distanza di circa 60 milioni di milioni di miglia.
Due mesi più tardi un astronomo britannico, Henderson misurò la distanza della luminosa stella australe Alpha Centauri, e giunse al risultato abbastanza esatto di 20 milioni di milioni di miglia. Alpha Centauri è una stella tripla, ed il membro più debole del trio è il corpo conosciuto più vicino, al di fuori del nostro sistema solare.
Il nostro cervello non è fatto per comprendere delle distanze così immense.
Fortunatamente abbiamo un'unità molto migliore a disposizione, basata sulla velocità della luce. Sappiamo che la luce viaggia alla velocità di 300.000 km al secondo. Un raggio di luce impiega 8 minuti ed un terzo per giungere dal sole a noi, ma nel caso di Alpha Centauri il tempo impiegato è di 4 e 1/3 anni: non vediamo la stella come è adesso, ma come era 4 e 1/3 anni fa. Diciamo perciò che Alpha Centauri dista da noi 4 e 1/3 anni-luce, e che la distanza di 61 Cygni è di quasi 11 anni-luce.

Un altro grande avvenimento dell'ultimo secolo fu l'avvento della fotografia astronomica. Nel 1845 venne eseguito il primo "dagherrotipo" fotografico del sole, seguito nel 1850 da una fotografia della luna. Entro 50 anni magnifiche fotografie dei corpi celesti vennero scattate non solo negli osservatori ufficiali, ma anche da dilettanti.

Il riflettore da 48 pollici di Herschel, venne ben presto sorpassato. Nel 1845 in Irlanda Lord Rosse, costruì uno specchio da 72 pollici. era difficile e complicato ad usarsi, ma era di gran lunga lo strumento più potente allora esistente, e Rosse lo adoperò per studiare gli ammassi stellari e le nebulose trovate da Herschel. Alcune delle nebulose risultarono essere costituite interamente da stelle deboli, benché altre non potessero essere risolte nello stesso modo. Ancor più interessante il fatto che alcune delle nebulose stellari rivelarono una forma a spirale, in modo da assomigliare assai a delle ruote.

Il telescopio da solo, non avrebbe mai potuto svelare la natura delle misteriose nebulose; ma lo spettroscopio si.
Nel 1864, Sir William Huggins esaminò una tenue nebulosa nella costellazione del Drago, e trovò che non era composta da stelle, ma da un gas luminoso.

Sappiamo ora che gli oggetti nebulosi sono di tre tipi. Nel nostro sistema, conosciuto comunemente come Via Lattea, ma più correttamente come Galassia, troviamo i normali ammassi stellari e le nebulose gassose, la maggior parte di esse alla distanza di centinaia di migliaia di anni-luce da noi.
Al di là della Galassia, si trova un vasto golfo, e quindi si giunge al primo dei sistemi separati esterni, giacente alla distanza di molto superiore al milione di anni-luce.
La Grande Spirale di Andromeda, che può essere vista ad occhio nudo, come una tenue macchia polverosa, si dimostra una galassia a sé stante, ancor più grande della nostra. Herschel aveva sospettato qualcosa di simile, e il lavoro di Rosse e Huggins confermava il suo punto di vista, benché la questione non venisse definitivamente risolta che nel 1933.

Perfino il riflettore da 72 pollici di Rosse non mantenne il suo primato a lungo. Ogni decennio assisteva al sopraggiungere di nuovi e più grandi telescopi; nel 1917 venne il riflettore da 100 pollici di Monte Wilson, in California, e nel 1948 quello da 200 pollici del Palomar.

Vi sono alcuni oggetti nello spazio che non emettono solamente della luce visibile, ma anche delle radiazioni di molto maggiore lunghezza d'onda, conosciute generalmente col nome di radio-onde.
quando si scoprì questo fatto per la prima volta, nel 1931, si sviluppò una branca completamente nuova dell'astronomia.
I radio telescopi non assomigliano per nulla ai normali telescopi; hanno la forma di grandi antenne, ed hanno permesso agli astronomi di studiare delle regioni nello spazio che non avrebbero potuto essere esplorate in nessun'altra maniera.

Non sono più i tempi di Tycho Brahe, allorché i soli strumenti a disposizione erano l'occhio umano e rudimentali strumenti di misurazione.

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