Pensione medici a 72 anni: non c'è alcuna convenienza

Pensione medici a 72 anni: non c'è alcuna convenienza

PREVIDENZA | REDAZIONE DOTTNET | 11/12/2022 17:46
E' un meccanismo complesso da attuare tra Inps e Enpam. Lo stipendio si equivarrà alla pensione.
Il tam tam ha già raggiunto tutti i medici potenzialmente interessati. Dopo diverse regioni che in ordine sparso avevano consentito la permanenza in servizio degli ultrasettantenni (ad esempio il Lazio in particolari condizioni senza nessun limite di età), adesso spunta un emendamento alla Legge di Bilancio, già approvato dalla Commissione Affari Sociali della Camera, in base al quale questa facoltà viene estesa a tutto il territorio nazionale. L’emendamento proviene dalla maggioranza e quindi ha ottime possibilità di concludere positivamente la sua corsa. 

In buona sostanza, la norma appena confezionata prevede che, per contrastare le carenze di personale, a decorrere dal 1° gennaio 2023 e fino al 31 dicembre 2026, il limite di età per il pensionamento è elevato su base volontaria a 72 anni per il personale medico, dipendente o convenzionato, del Servizio sanitario nazionale. La norma, quindi, riguarda tutti i medici pubblici e convenzionati, ed è estesa anche ai medici con contratti privati presso strutture convenzionate, nonché ai docenti universitari di medicina e chirurgia. Non è un obbligo, ma una facoltà: per attivarla occorre fare una domanda, e la Asl di riferimento è libera di accoglierla o respingerla entro 30 giorni con provvedimento motivato. Se passano i trenta giorni senza alcuna decisione esplicita, la domanda si intende accolta (meccanismo del silenzio-assenso). 

Ma chi e quando può fare la domanda? Intanto occorre che la norma in questione diventi legge dello Stato (verosimilmente prima della fine dell’anno). A quel punto l’istanza di prosecuzione va presentata al datore di lavoro (Asl, ospedale, struttura convenzionata, Università) da quanti abbiano già compiuto i 69 anni di età, entro 45 giorni dall’entrata in vigore della legge. Quanti invece non hanno ancora 69 anni al momento dell’entrata in vigore, e li compiranno entro il 31 dicembre 2025 (altrimenti sono esclusi), dovranno presentare la domanda entro 90 giorni dal loro 69° compleanno. Quanti ci ripensano, prima di abbandonare il camice, debbono dare un preavviso di quattro mesi. Il 1° dicembre 2027 tutti i soggetti che hanno avuto la proroga verranno comunque collocati a riposo, ed il limite di età ritornerà per tutti a 70 anni.  

Fin qui, molto in breve, i contenuti. Ma la domanda sorge spontanea: conviene economicamente restare in servizio altri due anni? Con le delibere regionali finora attivate, una convenienza di fondo poteva esserci: nella maggior parte dei casi il compenso professionale è più alto della pensione, e si poteva quindi contare su una maggiore disponibilità economica ed un miglioramento della pensione finale (magari, per i convenzionati, si potevano anche sfruttare al meglio gli incentivi alla permanenza che l’Enpam ha messo in cantiere). 

In questo caso, però, il Governo non ha voluto stanziare nuove risorse, e, avendo in mente soprattutto i dipendenti ospedalieri, nell’emendamento ha inserito questo passaggio: "Al personale medico di cui al comma 1 è corrisposto il trattamento economico pari al trattamento pensionistico maturato al settantesimo anno di età." In soldoni: da 70 anni in poi si paga comunque un importo pari alla pensione maturata, e non debbo quindi prevedere alcun esborso aggiuntivo. Con questo scenario, però, a meno che non si abbiano motivi personali (seguire i primi passi di carriera di un figlio oppure, per i professori universitari, mantenere il prestigio connesso ad una cattedra importante) ovvero una spiccata attitudine al volontariato, la scelta diventa poco appetibile. Infatti, come già si è detto, ormai sono ben pochi i casi in cui la pensione è più alta dello stipendio.

Inoltre, il meccanismo presenta anche diversi problemi attuativi. In primo luogo, occorre attivare un canale (attualmente inesistente) fra Inps (per i medici dipendenti) ed Enpam (per i convenzionati) con il datore di lavoro, per elaborare (anche in via ipotetica, se il versamento contributivo non è stato ancora memorizzato) e comunicare velocemente l’importo della pensione a 70 anni, che diventerà per due anni il nuovo stipendio del medico. Poi c’è da dire che, in base ad un principio recentemente ribadito anche dalla Corte Costituzionale, non possono esservi compensi privi di contribuzione. Quindi delle due l’una: o i contributi sul nuovo rapporto vengono regolarmente pagati (parte dalla Asl e parte dal medico), ed allora a quel punto l’operazione per lo Stato avrà comunque un costo, e lo stipendio per gli interessati sarà addirittura inferiore rispetto alla pensione maturata (anche se la pensione finale, a quel punto, dovrà essere ricalcolata); oppure si dovrà prevedere almeno un intervento sul cuneo contributivo a favore del medico per lasciarne invariato il compenso, con i medesimi effetti sulla pensione dei 72 anni e conseguenze economiche ancora maggiori in termini di costi per la collettività. 

Ed inoltre che fine faranno le proroghe (molto più appetibili per i medici) già concesse su base regionale? Seguiranno il loro iter originario o dovranno essere ricondotte alla disciplina nazionale? Insomma, ci sono diversi nodi che potranno essere sciolti in primis dai successivi passi dell’iter parlamentare e dopo, se la norma andrà effettivamente in porto, da decreti ministeriali e da circolari interpretative dell’Inps. Una questione, quindi, tutt’altro che definita e da seguire con attenzione.
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